"Se allora mi avesse chiesto se nel 2015 ci sarebbe stata la pace con i palestinesi, le avrei detto di sì, le avrei detto che il conflitto sarebbe stato il passato", spiega lo storico al suo intervistatore. "A differenza di allora, la maggioranza degli israeliani non crede più nella pace - afferma Segev. "Nemmeno Rabin in fondo era così convinto che gli accordi di Oslo sarebbero andati a buon fine. Era scettico, non si fidava di Arafat (il leader palestinese di allora, ndr). Basta vedere - osserva - il linguaggio del suo corpo durante la famosa stretta di mano a Washington, piena di sospetto".
Al contempo, quella stretta di mano doveva segnare la realizzazione degli accordi, della soluzione dei due Stati per due popoli. Rabin forse era scettico ma, come conferma lo stesso Segev alla rivista delle Comunità ebraiche, aveva scommesso sulla possibilità di portare la pace. "Non sappiamo se ci sarebbe riuscito, morì prima di prendere le decisioni necessarie", dice. Pagine ebraiche ricorda il clima di crescente tensione e divisione di quel periodo: mentre centinaia di migliaia di persone guardavano con fiducia a Rabin, i suoi oppositori lo accusavano di mettere in pericolo Israele, tra questi anche alcuni futuri primi ministri del Paese. Le frange più estreme lo dipinsero come un nazista, ci fu chi ne invocò la morte. E in questa atmosfera si inserì Yigal Amir, l' estremista ebreo che premette tre volte il grilletto contro Rabin.
"Abbiamo tutti fallito, si disse dopo quel 4 novembre.
Bisognava riunificare la società e così è stato. E a godere di questa ritrovata unità è stata soprattutto la destra ma ci siamo spostati molto lontano in quella direzione - è la posizione di Segev - - tanto che Netanyahu nel suo governo sembra essere l'uomo più a sinistra". Secondo lo storico c'è stato uno sdoganamento in questi ultimi vent'anni dell'aggressività sul fronte del discorso pubblico: "Sembra che ora sia legittimo odiare, in particolare gli arabi", afferma. "Quello che mi preoccupa è che le persone in Israele non si fidano più dei politici. Siamo sempre stati famosi per essere cittadini molto partecipi ma adesso c'è uno scollamento rispetto alla classe politica che ci rappresenta. Ci sono meno discussioni, meno confronto e questo è un pericolo - conclude - per la democrazia". (ANSAmed).