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Kerry attacca Netanyahu sulle colonie, scontro con Trump

'La soluzione sono 2 stati'. Tycoon a Israele: 'Resisti, arrivo'

29 dicembre, 10:06

(di Serena Di Ronza)

NEW YORK - La soluzione a due Stati è "l'unica strada percorribile" per il conflitto israelo-palestinese, "non ci sono alternative". Ma è "in pericolo", anche a causa delle colonie che Israele insiste a costruire in Cisgiordania e a Gerusalemme est. John Kerry respinge seccamente le critiche dello Stato ebraico agli Stati Uniti sul voto all'Onu e attacca a sua volta il premier Benyamin Netanyahu, riaprendo lo scontro anche con Donald Trump.

Proprio il presidente eletto, poco prima dell'intervento del segretario di Stato, aveva rassicurato Israele e attaccato Barack Obama. Con una serie di tweet il tycoon ha denunciato le "dichiarazioni provocatorie" del presidente, criticando anche la transizione che non è poi così morbida come si sarebbe aspettato.

L'affondo però lo ha compiuto su Israele, accusando la Casa Bianca di aver trattato un alleato con "disprezzo e mancanza di rispetto". Ma le cose, ha assicurato Trump invitando Israele a "resistere", cambieranno, perché "il 20 gennaio si sta avvicinando rapidamente". Nel suo ultimo discorso da segretario di Stato, forse il più delicato della sua carriera, Kerry ha rispedito al mittente gli attacchi subiti dall'amministrazione Obama.

All'Onu non c'è stato alcun complotto americano, ha detto rivolgendosi agli americani per un'ora e dieci minuti. "E respingiamo le critiche di chi dice che con il voto all'Onu abbiamo abbandonato Israele", ha aggiunto, riferendosi agli strali piovuti dopo l'astensione al Palazzo di Vetro sulla risoluzione di condanna degli insediamenti in Cisgiordania.

Piuttosto, ha attaccato, "i coloni stanno decidendo il futuro di Israele": anche se gli insediamenti non sono il maggiore ostacolo, è vero che più ce ne sono più la pace è difficile, ha spiegato Kerry, definendo la coalizione guidata da Netanyahu "la più a destra della storia israeliana, con un'agenda definita dagli elementi più estremisti". "Gli amici - è stato il messaggio di Kerry - si dicono la verità, anche quella più difficile. E si rispettano". "Non possiamo ignorare" la minaccia che gli insediamenti rappresentano per la pace, ha insistito.

Poi è arrivato il monito a Trump: l'amministrazione Obama è quella che ha fatto di più per Israele, sostenendolo anche nel mezzo della crisi economica. "La prossima amministrazione ha segnalato che potrebbe cambiare approccio rispetto al nostro, sta a loro decidere. Noi non possiamo chiudere gli occhi", ha scandito. Il segretario di Stato ha esortato poi a "non perdere la speranza per la pace in Medio Oriente", una pace che "non va imposta" ma che può essere raggiunta solo con "trattative dirette". Kerry ha quindi elencato i 'sei principi' cardine per la pace, inclusa Gerusalemme capitale dei due Stati, per abbandonare lo "status quo che punta a un solo Stato, a una perpetua occupazione". Avvertendo: se la scelta sarà quella di uno Stato, Israele deve essere consapevole che sarà uno Stato ebreo o uno Stato democratico, "non può essere tutte e due le cose". La risposta di Israele a Kerry non si è fatta attendere, con Netanyahu che si è detto "profondamente deluso" da un discorso "prevenuto". E ha rilanciato: "Abbiamo le prove sul fatto che gli Stati Uniti" sono dietro alla risoluzione all'Onu.

Mentre da Ramallah il presidente palestinese Abu Mazen, cogliendo la palla al balzo anche in vista della conferenza di Parigi del 15 gennaio, ha dichiarato di essere pronto a riprendere i negoziati di pace se Israele congelerà la costruzione di nuovi insediamenti.

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