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Al cinema, il dilemma tra esilio e ritorno in Palestina

Il nuovo film di Annemarie Jacir apre Middle East Now a Firenze

11 aprile, 10:19

(di Cristiana Missori) (ANSAmed) - ROMA, 11 APR - ''La dirigenza palestinese è lontana dalla sua gente''. Se non fai nulla o sei impotente, ''avere qualcuno che può chiamarsi primo ministro o utilizzare una bandiera, non è altro che un 'fake', un falso. Dopo Oslo, noi palestinesi viviamo come in un grande scherzo''. Annemarie Jacir, pluripremiata regista palestinese, è in Italia dove ieri sera al Middle East Now di Firenze ha presentato il suo terzo lungometraggio, Wajib-Invito al matrimonio.

Il film - che uscirà nelle sale il prossimo 19 aprile - racconta le vicende di Abu Shadi (Mohammed Bakri), padre divorziato e insegnante ultrasessantenne, di Nazareth, e di suo figlio, Shadi (Saleh Bakri), architetto che arriva da Roma dopo anni di assenza, per aiutare il padre a onorare il suo ''wajib'', il suo compito, ossia consegnare a mano le partecipazioni al matrimonio della figlia, Amal, secondo la tradizione palestinese. Un gesto solenne, un dovere sociale, che i due protagonisti (padre e figlio anche nella vita reale) compiono passando molto tempo insieme nella vecchia auto di famiglia, una Volvo, incastrati nel traffico della più grande città araba di Israele. Una città ''violenta, dove la tensione è molto alta'', dice ad ANSAmed Jacir. ''E' un vero e proprio ghetto, dove il 60 per cento della popolazione è musulmano e il 40 per cento è cristiano e dove i palestinesi vivono come cittadini di terza classe'', aggiunge con rammarico. Gli arabi israeliani, ''circa il 15 per cento dei palestinesi, non hanno mai lasciato quei luoghi, ma vivono in una contraddizione continua: cittadini di un Paese da cui si sento estranei''. Il filo rosso della pellicola, già premiata in diversi festival, è la spaccatura fra due diverse generazioni: quella di Shadi, da anni in Italia, architetto, che vede nella mentalità e nel modo di vivere di chi è rimasto soltanto arretratezza e illibertà; e quella di suo padre, Abu Shadi, che aspira al rientro definitivo del figlio, vivendo nel rispetto delle tradizioni. La spaccatura all'interno della comunità palestinese stessa, fra le diverse classi sociali e su come vedono gli israeliani. Il mantra, invece, è quello dell'esilio e del ritorno, il destino della diaspora e di chi è rimasto. E se Shadi preferisce non tornare, Annemarie Jacir - nata a Betlemme nel 1974, vissuta in Arabia Saudita, poi negli Stati Uniti dove si è formata, e infine a Amman - ha scelto di tornare e stabilirsi a Haifa. ''Si tratta per me di un privilegio, perché la maggior parte dei palestinesi rifugiati non possono fare ritorno. Per il resto dei palestinesi che vivono separati, a Gaza e nei Territori, è impossibile uscire.

Sono in gabbia''. Shadi vive a Roma, una scelta non casuale, spiega. ''Perché gli italiani sono sempre stati nostri sostenitori e amici, perché abbiamo molte affinità culturali e perché il mio personaggio fa l'architetto e Roma è il posto giusto''.

Oggi, il Festival del cinema, arte, musica e cibo dedicato al Medio Oriente (in corso fino al 15 aprile), dedicherà una retrospettiva alla regista palestinese, proponendo alcuni dei suoi film più celebri fra cui: Like Twenty Impossibles (2003), primo cortometraggio palestinese a essere incluso nella selezione ufficiale del festival di Cannes, che racconta di una troupe cinematografica palestinese che decide di evitare un posto di blocco, prendendo una strada laterale che li catapulterà in luoghi brutalmente segnati dall'occupazione militare israeliana; Salt of thisSea (2008), primo lungometraggio diretto da una regista palestinese scelto per la sezione Un CertainRegarda Cannes, sulle vicende della giovane Soraya, nata e cresciuta a Brooklyn che decide di tornare in Palestina, da cui la sua famiglia è stata esiliata nel 1948, e di Emad che invece dalla Palestina vuole andarsene. (ANSAmed).

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