Se hai scelto di non accettare i cookie di profilazione e tracciamento, puoi aderire all’abbonamento "Consentless" a un costo molto accessibile, oppure scegliere un altro abbonamento per accedere ad ANSA.it.

Ti invitiamo a leggere le Condizioni Generali di Servizio, la Cookie Policy e l'Informativa Privacy.

Puoi leggere tutti i titoli di ANSA.it
e 10 contenuti ogni 30 giorni
a €16,99/anno

  • Servizio equivalente a quello accessibile prestando il consenso ai cookie di profilazione pubblicitaria e tracciamento
  • Durata annuale (senza rinnovo automatico)
  • Un pop-up ti avvertirà che hai raggiunto i contenuti consentiti in 30 giorni (potrai continuare a vedere tutti i titoli del sito, ma per aprire altri contenuti dovrai attendere il successivo periodo di 30 giorni)
  • Pubblicità presente ma non profilata o gestibile mediante il pannello delle preferenze
  • Iscrizione alle Newsletter tematiche curate dalle redazioni ANSA.


Per accedere senza limiti a tutti i contenuti di ANSA.it

Scegli il piano di abbonamento più adatto alle tue esigenze.

Regista Abo Khraisse, impossibile controllo su fondi a Libia

Consulente film Segre, difficile formare libici su diritti umani

18 settembre, 18:49

(di Luciana Borsatti) (ANSAmed) - ROMA, 18 SET - Qualcuno già lo conosce come il direttore del centro di detenzione di Zawiya in 'L'ordine delle cose' di Andrea Segre, film sulla 'terziarizzazione' del controllo dei flussi dei migranti da parte italiana in terra libica. Altri ne leggono da tempo le 'Cartoline da Tripoli' sul sito della rivista Internazionale, scorci di vita quotidiana nella capitale libica che possono dire molto di più un articolo di geopolitica. Ma Khalifa Abo Khraisse è in primo luogo un regista e documentarista, che nonostante tutto continua a vivere a Tripoli anche se la sua collaborazione con Segre nel film passato all'ultima Mostra di Venezia, e ora nelle sale, lo ha portato spesso in Italia. "Dal 2014, quando vi sono state le ultime manifestazioni contro le milizie armate, non c'è più libertà di espressione, sulla Libia è scesa una cappa di censura", racconta in un incontro a Roma, ospite della libreria Griot. "So che anche per me potrebbero esserci problemi in futuro, ma passeremo quel ponte quando ci arriveremo", risponde sui rischi che corre lui stesso parlando pubblicamente di un Paese dove sono le milizie armate a dire l'ultima parola. Quelle stesse milizie che ora a Tripoli, in una situazione relativamente tranquilla da alcuni mesi, si controllano fra loro - dice - e hanno anche il controllo sul governo riconosciuto dalla comunità internazionale di Fayez al-Sarraj. Il quale invece il controllo non ce l'ha proprio, aggiunge, nemmeno nella capitale.

Un governo che esiste, quello di al-Sarraj, "finché lo lasciano esistere", dice appunto delle milizie che avrebbero permesso l'accordo nazionale del dicembre 2015 a Skhirat, in Marocco. Accordo raggiunto perché si era giunti al punto, osserva, che c'era bisogno di qualcuno che insediasse uno stato.

Anche per questo, "se si danno dei fondi alla Libia non c'è modo di controllare dove vadano" aggiunge rispondendo indirettamente ai quesiti apertisi in questi giorni, e rilanciati dai media internazionali, sulla ipotesi che gli aiuti italiani alla Libia per il contrasto del traffico dei migranti siano giunti a capi milizie fino a ieri attivi proprio in quella stessa attività. Trafficanti in stretto contatto con la guardia costiera libica al punto di controllare di fatto, sottolinea, proprio il porto di Zawiya. E che chiudono e lasciano nei centri di detenzione tutti i migranti che non hanno soldi per pagare per la propria liberazione, mentre a tenere i contatti con le loro famiglie sono figure che agiscono come rappresentanti o 'ambasciatori' dei Paesi di origine.

Anche quando si parla di training delle forze libiche, continua, non si comprende che si tratta di persone difficili da formare proprio nel campo dei diritti umani. Tanto più in una realtà come quella libica, dove il razzismo è diffuso e difficile, anche per ragioni storiche, da sradicare.

"Non si sa quanti sono realmente i centri di detenzione in Libia, e per descriverli non ci sono parole", dice ancora Abo Khraisse, che sul tema ha svolto quel lavoro di ricerca sul terreno che per il regista italiano sarebbe stato troppo rischioso. Ma potrebbe il generale Khalifa Haftar, rivale di Sarraj sostenuto dall'Egitto e che controlla l'est del Paese, porre fine a questa situazione se riuscisse a controllare l'intero Paese? L'esercito di Haftar - già comandate delle forze di Gheddafi e poi suo oppositore, preso prigioniero in Ciad e successivamente vissuto a lungo negli Usa - non può dirsi tale ma è piuttosto un insieme di brigate - risponde - così come non le era quello del rais travolto dalla rivoluzione del 2011. E anche per questo "non sarebbe una transizione facile". Certo è che, dice ancora il regista, insieme all'Egitto a condizionare la Libia ci sono molte altre potenze straniere, come Turchia, Qatar, Emirati Arabi Uniti, e la stessa Italia. "Ma è anche responsabilità dei libici quello che accade ora. Chi ha dato, se non loro. tanto potere agli estremisti?". (ANSAmed).

© Copyright ANSA - Tutti i diritti riservati