Fra il 17 e il 19 marzo 2004 in attacchi armati e scontri interetnici rimasero uccisi otto kosovari di etnia serba e undici di etnia albanese. Quasi mille persone rimasero ferite.
Piu' di 900 case appartenenti a serbi e altre etnie non albanesi furono incendiate, mentre 35 fra chiese e monasteri ortodossi serbi furono distrutti e profanati. Oltre 4 mila serbi furono costretti a lasciare le loro case, e la gran parte di loro non ha mai piu' fatto ritorno in Kosovo. Sei citta' e dieci villaggi furono sottoposti a una autentica pulizia etnica. A scatenare le violenze anti-serbe sarebbe stato un episodio in cui un giovane di etnia albanese mori' annegato nel fiume Ibar, con i media albanesi unanimi nell'accusare i serbi locali di aver spinto volutamente in acqua il ragazzo. In risposta alle violenze in Kosovo, manifestazioni di protesta si registrarono in varie citta' della Serbia, compresa la capitale Belgrado, dove furono attaccate e date alle fiamme alcune moschee. Oggi il premier serbo Aleksandar Vucic, ricordando i 'pogrom' di undici anni fa, ha detto che la politica di Belgrado in Kosovo mira innanzitutto a proteggere gli interessi nazionali dei serbi e a far sviluppare l'economia, e in nessun modo a favorire la violenza. "La nostra risposta non dev'essere mai la distruzione di edifici religiosi appartenenti ad altri. La nostra risposta non dev'essere mai la violenza", ha detto Vucic. (ANSAmed)