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Siria: a 3 anni da inizio rivolta Paese diviso e in rovina

Lotta sopravvivenza e milioni profughi. La nuova mappa del Paese

13 marzo, 18:59

(di Lorenzo Trombetta) (ANSA) - BEIRUT, 12 MAR - Tre anni dopo lo scoppio della rivolta contro il regime, la Siria oggi è irriconoscibile. Da quando la ribellione contro Bashar al Assad iniziò il 15 marzo del 2011, fu repressa nel sangue e si trasformò in guerra civile, molte città sono semi-distrutte e oltre nove milioni di siriani, su un totale di 22 milioni, sono sfollati o fuggiti all'estero. Chi è rimasto tenta di vivere, o sopravvivere, in condizioni sempre più precarie, che cambiano però a seconda del livello di violenza nella propria zona.

Dopo lunghi mesi di terrore per il continuo bombardamento di mortai da parte dei ribelli o per il timore di finire nelle retate della polizia segreta, gli abitanti di Damasco sono tornati da settimane a una "vita apparentemente normale". Il regime è riuscito nei mesi scorsi ad allentare la pressione dei ribelli attorno alla capitale. "I beni di prima necessità sono tornati nei mercati anche se è tutto molto caro. Si ha meno paura di uscire durante il giorno e il traffico è tornato quasi normale", dice all'ANSA Nazih, residente nel centro storico.

Se prima del 2011 ci volevano 50 lire siriane per comprare un dollaro, adesso al cambio nero ce ne vogliono 157, ma nel 2012, il periodo più difficile per il regime, il prezzo era schizzato a oltre 300 lire.

Diversa è la situazione ad Aleppo, metropoli del nord, un tempo città più popolosa della Siria e storico crocevia del Medio Oriente. Dal 2012 è divisa in due: la parte orientale solidale con la rivolta e quotidianamente esposta ai bombardamenti aerei del regime, e una sacca occidentale controllata dalle forze lealiste, divisa dal resto di Aleppo da una cortina di posti di blocco e muri di cemento. "Parte della mia famiglia si è rifugiata a ovest, perché lì ci sono acqua e luce. Altri sono rimasti a est, dove fino a pochi giorni fa avevano un negozio. E' stato bombardato e distrutto. Anche loro sperano di andare a ovest", racconta Jihad, giovane ingegnere aleppino rifugiatosi a Beirut.

A sud-est di Aleppo, il regime controlla ancora l'aeroporto, e la compagnia di bandiera, SyrianAir, ha annunciato che dal 16 marzo riprenderà i collegamenti con la capitale.

Raqqa è nel nord-est del Paese ed è il primo e finora unico capoluogo di regione dal quale le forze lealiste si sono ritirare del tutto, lasciando spazio prima ai ribelli islamici e poi a miliziani qaedisti, giunti dall'Iraq e rinforzati da schiere di giovani locali raccolti lungo il corso dell'Eufrate. La città è descritta come la capitale di Al Qaida in Siria e nelle numerose prigioni dei fondamentalisti si dice siano rinchiusi numerosi giornalisti occidentali assieme al gesuita romano padre Paolo Dall'Oglio. "A Raqqa la società civile è stata di fatto espulsa. Sono fuggito in Turchia perché per me e i miei colleghi non c'è più spazio", afferma Mazen, un attivista locale. "Al Qaida si comporta come, se non peggio del regime", dice Mazen.

Nel centro del Paese, Homs - terza città siriana e un tempo polo industriale della Siria - è quasi rasa al suolo. Rimangono in piedi i quartieri a maggioranza alawita - la branca sciita a cui appartengono i clan al potere da quasi mezzo secolo - mentre il centro storico, roccaforte della rivolta sin dal 2011, è assediato da circa due anni e vi rimangono poche migliaia di persone tra civili e ribelli.

Hama, a nord di Homs, è tornata sotto il controllo delle forze lealiste ma il suo perimetro cittadino è diviso dai sobborghi e dalle campagne, solidali con la rivolta, da mura e posti di blocco. "Alle cinque scatta il coprifuoco e tutti gli accessi alla città vengono chiusi. Durante il giorno solo i residenti possono entrare. Siamo tornati al medioevo", afferma Manal, una donna medico di Hama.

Sotto il ferreo controllo lealista rimane la zona costiera di Tartus e Latakia, a maggioranza alawita, mentre nel capoluogo orientale di Dayr az Zor continuano gli scontri tra lealisti, qaedisti e miliziani islamici.

A nord infine, nelle zone curde al confine con Iraq e Turchia, le milizie locali tentano con difficoltà di proteggere un'agognata autonomia sia dal regime che dalle brigate jihadiste. (ANSAmed).

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