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Cinema:Return to Homs,da pacifisti a ribelli contro Assad

A Middle East regista Derki.'Non credete a grande bugia regime'

15 aprile, 14:24

(di Cristiana Missori) (ANSAmed) - FIRENZE, 15 APR - ''La Siria non è soltanto Assad o Al Qaeda. Non fatevi incantare dalle parole del presidente siriano perché l'alternativa non è tra lui e gli estremisti religiosi. Nel Paese esistono i moderati e sono circa il 70% della popolazione, ma nessuno è interessato a loro. Nessuno - tantomeno i media - ne parlano, perché non fanno notizia''. E' duro lo sfogo del regista siriano Tarek Derki, che in questi giorni a Firenze ha presentato il suo ultimo documentario, Return to Homs, in occasione della quinta edizione del Middle East Now, festival dedicato alla filmografia mediorientale su cui ieri sera è calato il sipario. Girato tra il 2011 e il 2013, seguendo il viaggio di due amici, le cui vite sono state sconvolte dalla guerra in Siria.

Basset, 19 anni, star del calcio e portiere della nazionale giovanile diventato ben presto un'icona della rivoluzione, e Ossama, 24 anni, pacifista e attivista sui media. ''Quando l'esercito di Assad trasforma la loro città, Homs, in un luogo fantasma - racconta Derki ad ANSAmed - i due ragazzi decidono di imbracciare le armi entrando nelle fila dei ribelli''. Nato a Damasco, Derki, che ha all'attivo due corti e 5 documentari, nel 2012 è stato costretto a lasciare la capitale siriana. ''Seguire i due protagonisti e girare questo film è stato come suicidarsi. Ormai sono nella lista nera del regime''.

Lascia intendere che da allora, per entrare in Siria non gli resta che la via dell'illegalità. La sua diaspora, come quella dei suoi familiari, è simile a quella dei milioni di siriani che sono stati costretti a lasciare il proprio Paese dal 2011 a oggi. E anche chi ha lavorato al film non se la passa molto bene. Ossama, ha continuato il suo lavoro da attivista, fino a quando, dopo essere stato ferito, viene arrestato dal regime, come conferma uno dei produttori della pellicola, Hans Eisenhauer, anche lui a Firenze. ''Da allora - dice - di lui non si sa più nulla''. Un altro dei produttori, Orwa Nyrabia, a causa del documentario è stato arrestato e trattenuto per tre settimane nel 2012 e poi costretto a lasciare la Siria. Ormai, sostiene Derki, a tutta questa violenza la gente si è abituata.

''I siriani si sono abituati'', afferma con rammarico. Anche le Nazioni Unite da inizio 2014 hanno smesso di diffondere dati ufficiali sulla conta delle vittime. Impossibile infatti accertarne il vero numero. Premiato al Sundance, da tempo la pellicola sta girando nei vari festival. Da Londra a Istanbul a Firenze. Attualmente, fa sapere, ''sto lavorando a un altro progetto: gli effetti psicologici che la guerra in Siria ha provocato''. Gli effetti su di lui sembrano evidenti. Sofferenza e insofferenza, e paura.

''Paura che la prossima guerra in Siria sia quella tra i salafiti e i moderati. Paura che il Paese si trasformi in una seconda Somalia, dove a governare siano i signori della guerra''. (ANSAmed).

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