Stasera gli eventi di chiusura saranno due, uno al conservatorio San Pietro a Maiella con un concerto diretto dal maestro Riccardo Muti, l'altro, più pop, in Piazza del Gesù Nuovo con i cinque ragazzi libanesi che, con il loro travolgente indie-rock, sono riusciti a creare negli ultimi anni un movimento giovanile trasversale, dal Libano al Marocco, passando per Giordania, Palestina, Egitto, Tunisia e arrivando persino in Israele.
Tutto cominciò nel 2008, quando il violinista Haig Papazian, il chitarrista Andre Chedid e il pianista Omaya Malaeb, tutti studenti, decisero di organizzare una sorta di workshop musicale all'università di Beirut: a quell'appello risposero dodici musicisti e da lì nacque la band il cui nome vuol dire "Progetto Leila". Un progetto che divenne subito fenomeno tra i giovani di Beirut, per il mondo innovativo in cui la band cantava, in arabo, i temi della situazione politica ma anche della vita quotidiana dei giovani libanesi, compresa quella sessuale.
Il gruppo diventò in breve tempo l'interprete musicale della Primavera Araba. Un boom, tanto che a due anni dal primo album "Mashrou Leila", arrivò il secondo "El Hal Romancy" (distribuito gratis su internet) e nel 2013 il terzo "Raasuk", realizzato con una grande operazione di crowd fundig.
La realizzazione del terzo album, infatti, aveva destato l'interesse di molte case discografiche di tutto il mondo arabo, che si erano pronte a produrlo, ma, raccontarono i membri della band, i discografici volevano "snaturare" le loro canzoni. Così partì l'idea della raccolta fondi dal basso, che raggiunse la cifra di 60.000 dollari, oltre a portare la fama in tutto il mondo arabo, che si è estesa poi anche all'Europa.
Ora i Mashrou Leila tengono concerti dal Cairo al Qatar, da Alessandria d'Egitto all'Italia, da Dubai alla Tunisia. L'unico rimpianto lo ha confessato in una recente intervista il chitarrista, Firas Abu-Fakher: "Non possiamo più andare a suonare in Siria". (ANSAmed).