(di Cristiana Missori)
ROMA - ''Non sono un pianista, sono soltanto uno a cui piace suonare. Vengo da Yarmouk e ne sono fiero. Per chi è rimasto lì mi sento responsabile''. A parlare da Roma - dove sabato sera all'Auditorium Parco della Musica ha inaugurato la sua tournée italiana che toccherà Mestre (il 22/1), Taranto (27/1), Firenze (2/2) e Aosta (4/2) - è Ayham Ahmad, per tutti 'il pianista di Yarmouk'. Nel 2014, grazie ad uno scatto che lo ritrae seduto alla tastiera di un pianoforte malconcio, circondato da macerie nel campo profughi palestinese situato alla periferia sud di Damasco, diventa un'icona. Ogni giorno, infatti, Ayham trascina il suo piano su di un carretto e si mette a suonare, circondato da bambini che lo accompagnano con il loro canto. Un simbolo di coraggio e speranza in mezzo al caos.
''Fino al 17 aprile 2015 - ricorda poco prima di esibirsi - quando i miliziani dell'Isis bruciano il mio pianoforte e uccidono uno dei bambini che stava accanto a me. Era il giorno del mio compleanno''. E' li' che decide di fuggire. Scappa in Europa, attraverso la rotta balcanica. E ogni tappa diventa un vero e proprio manifesto: scatta una foto e la 'posta' su Facebook, trasformando quel calvario in un diario di bordo. Del viaggio, dice, durato circa tre settimane, ''non dimenticherò mai i corpi in mare''. Più fortunato di tanti altri, riesce a raggiungere la Germania. ''Lasciandomi tutto alle spalle: genitori, fratello (da quattro anni in carcere senza sapere il perché e se sia ancora vivo), moglie e figli (oggi insieme a lui, ndr), amici''. Tra cui l'anonimo autore della foto, Niraz Saied. ''Niraz - spiega - è un fotografo diventato noto a Yarmouk per avere documentato gli scontri fra le truppe di Assad e miliziani di Al Nusra''. Di lui ''non so più nulla. E' stato prelevato dai servizi segreti del regime, a Damasco, da dove contava di partire per giungere in Europa via Balcani. Aveva deciso di scappare due mesi prima di me''. A lui Ayham deve la sua popolarità. ''Quando Niraz fece quello scatto, mi disse che avrebbe messo in rete anche il video di 'Nasitu Esmi' (Ho dimenticato il mio nome), nota come 'la canzone di Yarmouk', diventata poi virale su You Tube. Mi dissi, perché no, sarà come un testamento virtuale. Se dovessi morire sotto i missili i miei familiari, mio padre, avrebbero la possibilità di mantenere un mio ricordo''. Al padre, 'il pianista di Yarmouk' deve tutto, o quasi. ''Ho iniziato a studiare musica a 5 anni, su suo impulso. ''Per me quello che conta è avvicinare la gente, i giovani e i più poveri, alla musica. La musica può cambiare il mondo''. Forse, o forse no. Quel che è certo è che anche se pare un idealista, Ayham sa esattamente dove vuole arrivare. Giunto da rifugiato a Wiesbaden, dove vive, inizia a suonare nei teatri (oltre 300 concerti all'attivo), incontra Angela Merkel, pubblica il suo primo album - 'Music for Hope' - e vince il premio Beethoven per i diritti umani. Attualmente lavora al suo secondo album e alla sua autobiografia, entrambe in uscita nel 2017. Una storia a lieto fine la sua, mentre la Siria non esiste praticamente più.
In Germania le cose potevano andargli peggio. ''Per noi siriani la Germania è un paradiso. La mia famiglia ha potuto raggiungermi, ho un lavoro e finalmente posso guadagnarmi da vivere. Non posso lottare per tutti i rifugiati, ma posso dire: fermate la guerra e nessuno verrà in Europa. Malgrado tutto, prima di scappare da Yarmouk avevo tre case e un lavoro''.