Nella foto, un gruppo di donne albanesi vegliano fra grida di dolore il cadavere. Diego Ibarra (Saragozza, 1982) appartenente a un'altra generazione, assicura di voler "mostrare il superamento e la speranza delle persone che vivono e riescono a sopravvivere nei paesi devastati dalla guerra". E' sua la foto in un campo di rifugiati a Jalozai, in Pakistan, nel 2018, dove sono ammassati migliaia di pachistani in fuga dalla violenza.
L'immagine ritrae una donna di un'età indefinibile che, come nella pietà di Michelangelo veglia un bambino. Altre foto impattano più per il contrasto che offrono con la realtà circostante. Come quella di Judith Prat (Huesca, 1973) che ha documentato il lavoro nelle miniere di coltan nel Congo.
Ritrae, nella città di Goma, "dove arrivano ragazze sfollate dal conflitto armato", un gruppo di giovanissime in tacchi alti all'entrata di un postribolo, Apollo, in una strada misera e sinistra. Immagini di grande bellezza che documentano la miseria umana. Al riguardo il fotoreporter Javier Bauluz (Madrid, 1960), che partecipa all'esposizione con varie fotografie sulla crisi dei rifugiati in Gracia, auspica che le sue opere "arrivino al cuore o alla testa del pubblico, non allo stomaco". Come accade nel caso dell'immagine della donna pachistana con il volto sfregiato dall'acido dal marito, per aver preteso il divorzio. L'autore è Emilio Morenatti (Saragozza, 1969), mentre la vittima ripresa è la pachistana Busha Shari, aggredita, brutalmente torturata e salvata dai vicini. Oggi vive con sua sorella vicino Islamabad ed è stata sottoposta a 25 interventi di chirurgia plastica di ricostruzione, che difficilmente riusciranno a restituirle i connotati.
(ANSAmed)