Se hai scelto di non accettare i cookie di profilazione e tracciamento, puoi aderire all’abbonamento "Consentless" a un costo molto accessibile, oppure scegliere un altro abbonamento per accedere ad ANSA.it.

Ti invitiamo a leggere le Condizioni Generali di Servizio, la Cookie Policy e l'Informativa Privacy.

Puoi leggere tutti i titoli di ANSA.it
e 10 contenuti ogni 30 giorni
a €16,99/anno

  • Servizio equivalente a quello accessibile prestando il consenso ai cookie di profilazione pubblicitaria e tracciamento
  • Durata annuale (senza rinnovo automatico)
  • Un pop-up ti avvertirà che hai raggiunto i contenuti consentiti in 30 giorni (potrai continuare a vedere tutti i titoli del sito, ma per aprire altri contenuti dovrai attendere il successivo periodo di 30 giorni)
  • Pubblicità presente ma non profilata o gestibile mediante il pannello delle preferenze
  • Iscrizione alle Newsletter tematiche curate dalle redazioni ANSA.


Per accedere senza limiti a tutti i contenuti di ANSA.it

Scegli il piano di abbonamento più adatto alle tue esigenze.

'Sansur' di Marco Cesario, viaggio nella censura in Turchia

Nel Paese oltre cento giornalisti in carcere

20 febbraio, 12:14

(ANSAmed) - ROMA, 20 FEB - Un viaggio dentro il cuore nero della Turchia. E' quello che propone Marco Cesario, giornalista e studioso napoletano che vive a Parigi, nel suo libro ''Sansur: Censura - Giornalismo in Turchia'' (Bianca&Volta Edizioni).

Cesario ha vissuto per mesi a Istanbul, indagando sulla repressione dei giornalisti da parte del governo islamico-nazionalista di Recep Tayyp Erdogan. Un governo che vanta successi economici, con un tasso di crescita del Pil elevatissimo, e credenziali democratiche che sono state prese a modello dai rivoluzionari delle primavere arabe. Eppure, mentre la crescita economica e' innegabile, la cultura democratica della Turchia e dei suoi governanti islamici e' tutt'altro che indiscutibile.

Nel paese ci sono oltre un centinaio di giornalisti in carcere per quello che hanno scritto, e la cosa ha suscitato piu' volte le proteste dell'Unione europea e di importanti ong internazionali. Il governo di Ankara si difende dicendo che i cronisti sono in carcere per complicita' con organizzazioni golpiste o terroriste, e che quelli che fanno semplicemente il loro lavoro hanno la massima liberta'. Ma nel suo libro, Cesario dimostra che non e' cosi'.

Il problema e' che in Turchia si fronteggiano due culture contrapposte, entrambe poco avvezze alla democrazia. Da una parte ci sono i laici kemalisti, radicati nella burocrazia e nelle forze armate. L'occidente li guarda con favore perche' ha paura degli islamici, ma in realta' si tratta spesso di nazionalisti fascistoidi, con una cultura golpista da societa' segreta. Dall'altra parte ci sono gli islamici, la nuova forza emersa nella societa' negli ultimi 15 anni, specie nelle regioni povere dell'est (un po' il Veneto della Turchia). A parole si dicono democratici, ma alla prova dei fatti anche loro si dimostrano imbevuti della cultura intollerante del nazionalismo turco, in piu' con una verniciata di bigotteria musulmana.

Le due culture lottano fra di loro per il controllo del paese. Lo scontro potrebbe anche essere positivo, il reciproco controllo potrebbe essere una garanzia di trasparenza (ogni forza smaschera le malefatte dell'altra). Purtroppo pero', nessuno dei due schieramenti ama, o almeno rispetta, la liberta' di parola. Cosi', in mezzo a questo scontro rimangono stritolati i giornalisti.

Il quadro che tratteggia Cesario e' impressionante. Sia che indaghino sulle trame golpiste dei laici di Ergenekon (organizzazione segreta di militari e burocrati che voleva rovesciare Erdogan), sia che scandaglino la rete di potere di Fetullah Gulen (specie di santone islamico a capo di una vasta organizzazione, molto vicino a Erdogan), sia che cerchino di fare luce sulla repressione della minoranza curda, i cronisti finiscono regolarmente in galera.

L'accusa e' sempre quella: complicita' con golpisti e terroristi del Pkk (i ribelli curdi). L'idea che il giornalismo non sia espressione di una parte politica, ma solo uno strumento di informazione al servizio di tutta la societa', non fa parte del bagaglio culturale delle forze in campo in Turchia. Cosi', a sbattere dietro le sbarre i giornalisti possono essere poliziotti, magistrati o politici laici o islamici. Cambia lo schieramento, ma la mentalita' non cambia: il giornalista che fa il suo mestiere e' un nemico politico e va zittito.

Per questo, la lettura del libro di Cesario e' estremamente istruttiva. Soprattutto mentre Ankara da un lato batte alla porta per entrare nell'Unione europea (per la verita', senza molto successo) e dall'altro si pone come modello di democrazia islamica per i nuovi partiti confessionali andati al potere nei paesi arabi dopo le rivoluzioni. La ricerca dello studioso partenopeo demolisce quell'immagine rassicurante che Erdogan e i suoi hanno cercato di dare per anni del loro paese (ultimamente un po' meno, le sparate islamico-nazionaliste si vanno moltiplicando).

Il che non vuol dire che la Turchia non sia un paese democratico. Rispetto ai paesi arabi o alle ex-repubbliche sovietiche turcofone, ha un livello di liberta' di espressione notevolissimo. Tuttavia, la sua democrazia e' tutt'altro che compiuta, e deve ancora crescere molto, prima di ambire ad entrare in Europa o ad essere un modello per il Medio Oriente.

© Copyright ANSA - Tutti i diritti riservati