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Turchia: il caso Dincdag, arbitro gay cacciato dai campi

"Battaglia esempio per tutti". Ieri polizia contro 'pride'

29 giugno, 18:42

L'arbitro turco Halil Ibrahim Dincdag L'arbitro turco Halil Ibrahim Dincdag

(di Cristoforo Spinella)

ISTANBUL - "Questo è un processo troppo importante perché può essere un esempio per tutti". Halil Ibrahim Dincdag non è uno che si arrende facilmente. La sua battaglia legale contro la Federazione calcistica turca, che l'ha escluso dalla lista degli arbitri dopo oltre un decennio con il fischietto in bocca, dura dal 2009. Una decisione giunta appena la sua omosessualità è venuta allo scoperto, trascinandolo suo malgrado sulle prime pagine dei giornali in Turchia. "Ma anche in Europa non credo ci siano precedenti", dice all'ANSA. Da allora la sua lotta per tornare ad arbitrare non si è mai interrotta. In tribunale e fuori. "Alla fine vincerò perché ho ragione", spiega convinto. Una tenacia che non viene solo dalla voglia di rivalsa di chi ha perso tutto ed è stato costretto a lasciare la sua città - Trebisonda, sul mar Nero - per ricostruirsi una vita lontano da pregiudizi e minacce. La fiducia di Dincdag deriva anche dal sostegno ricevuto. "Il mio processo è una prova del fatto che si può agire insieme per cambiare le cose", dice ricordando che 18 gruppi ultras indipendenti e di sinistra - da Istanbul a Smirne - gli hanno espresso pubblicamente il proprio sostegno nonostante l'omosessualità per molti nel mondo dello sport continui a essere un tabù. Non a caso, colleghi arbitri e calciatori l'hanno appoggiato solo in privato: "Hanno paura di esporsi, nel calcio è così".


In Turchia i diritti lgbti continuano a essere tutt'altro che scontati. Ieri il 13esimo gay pride organizzato a Istanbul è stato disperso dalle forze dell'ordine a colpi di pallottole di gomma e cannoni ad acqua. Un divieto inatteso dalle migliaia di persone che si erano radunate a piazza Taksim - cuore delle proteste di Gezi Park - per una sfilata che negli ultimi anni è stata sempre più partecipata dopo che la prima marcia, nel 2003, ne aveva accolte poche decine. Da allora molto è cambiato in Turchia - tra i pochi Paesi islamici dove l'omosessualità non è perseguita legalmente - ma la lotta si dimostra ancora lunga. "Il tema di questo processo non sono io, è il calcio", spiega Dincdag. Per lui, è proprio il seguito dello sport più popolare in Turchia a rendere il suo caso tanto importante: "Se succede una cosa in quest'ambito, ha un effetto su tutta la società".
Per questo si sente addosso una "grande responsabilità" che lo spinge a "non mollare la battaglia". Dopo tante difficoltà una nuova vita a Istanbul lontano dalle pressioni sociali l'ha aiutato a ricominciare anche se, spiega, riesce appena a pagare affitto e bollette arbitrando in due campionati non ufficiali. Ma a 38 anni Dincdag guarda avanti: "Fino a 45 si può arbitrare, e io voglio farlo: ho ancora tempo". Ora lo chiamano in Europa a raccontare la sua esperienza, perché "anche la Fifa parla molto di lotta all'omofobia, ma fa poco di concreto". Una battaglia non solo per la Turchia, quindi: "Se dovessi tornare in campo darei a tanti, arbitri e giocatori, il coraggio di uscire finalmente allo scoperto".

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