Il divieto, emesso questa mattina da un giudice di Suruc, riguardava "la pubblicazione di materiale visuale legato all'attacco terroristico". Un bavaglio che riguarda tutti i media. Non è escluso, quindi, che nuove sanzioni possano colpire giornali e tv. Ma sul web, come la Turchia ha dimostrato più volte, la censura arriva immediata. Anche perché è lì che sono nate molte delle proteste dopo la strage, portando a diversi scontri e all'arresto ieri di 49 manifestanti. Il blocco è stato tolto solo dopo che il gigante dei social network ha rimosso tutti i 107 contenuti richiesti da Ankara. Le autorità avevano stabilito un termine massimo di quattro ore, ma Twitter ne avrebbe cancellati in tempo solo 50. Così intorno alle 11 di stamane (le 10 in Italia) è arrivato il blocco che, come già in passato, è stato aggirato dalla maggior parte degli utenti. L'hashtag #TwitterBlockinTurkey è entrato subito in testa alle tendenze mondiali del social network, mostrando ancora una volta le difficoltà nell'applicazione della censura sul web. Secondo i media locali, Facebook e Youtube sarebbero invece riusciti ad evitarla cancellando in tempo i contenuti 'sgraditi'. Per Twitter si tratta dell'ennesimo scontro con Ankara, che lo scorso anno decise di censurarlo proprio alla vigilia di delicate elezioni amministrative. Del resto l'ostilità del presidente Recep Tayyip Erdogan ai social network, strumento fondamentale delle proteste di Gezi Park di due anni fa, non è una novità. Da allora il presidente li ha attaccati più volte, definendoli "la peggiore minaccia per la società". Lo scorso anno la Turchia è risultato il Paese al mondo che ha presentato più richieste di rimozione di tweet sgraditi, per un totale di 663.
Ankara conferma così il suo pugno di ferro sulla libertà di espressione. Mentre da più parti piovono accuse di negligenza - o peggio - rispetto all'Isis nella strage di Suruc, la decisione di silenziare i media su argomenti scomodi è ormai una prassi.
Negli ultimi 4 anni il bavaglio è stato imposto su oltre 150 avvenimenti per tutelare la sicurezza nazionale, dalla Tangentopoli del Bosforo che colpì il governo allora guidato da Erdogan alle intercettazioni compromettenti sulla Siria al ministero degli Esteri. Ma la censura più simile riguarda un altro attentato terroristico, quello che a Reyhanli uccise 52 persone nel maggio 2013: il più sanguinoso mai avvenuto sul territorio turco. "Se aveste speso le energie per tutelare la sicurezza nazionale anziché bloccare Twitter - attacca ora il leader dei socialdemocratici del Chp, Kemal Kilicdaroglu - non avremmo mai vissuto queste tragedie né le censure".(ANSAmed).