A non tirarsi indietro è invece il filo-curdo Hdp, pronto a "esercitare il diritto costituzionale". L'Akp di Erdogan sembra così destinato a condividere il Consiglio dei ministri con il partito che ha ripetutamente accusato di legami con i guerriglieri del Pkk curdo. Per la prima volta deputati curdi entreranno nel governo di Ankara, segnando un passaggio storico proprio mentre il conflitto tra Turchia e Pkk ha raggiunto picchi di violenza che non si ricordavano dagli anni Novanta.
Dopo la rottura il mese scorso della tregua di fatto in vigore dal 2013, oltre 800 miliziani curdi sono morti negli scontri nel sud-est della Turchia e nei raid aerei in nord Iraq, mentre almeno 59 sono le vittime tra le forze di sicurezza. All'Hdp toccheranno 3 ministeri, quasi certamente non strategici, mentre quelli del Mhp, che sarebbero altrettanti, e i 7 del Chp verranno eventualmente assegnati a tecnici esterni al parlamento. Ma il leader curdo Selahattin Demirtas è stato chiaro: "Non importa quali ministeri avremo, in fondo è un governo temporaneo. Ci interessa essere rappresentati nel governo". Un compimento del percorso di legittimazione nazionale del partito, che ha suggerito a Davutoglu un governo per metà formato da donne e gli ha messo a disposizione tutti i suoi 80 deputati tranne lo stesso Demirtas e la co-leader, Figen Yuksekdag, impegnati nella campagna elettorale.
A due mesi e mezzo dal voto del 7 giugno, in cui per la prima volta in 13 anni l'Akp non ha ottenuto i seggi per governare da solo, la Turchia si rituffa ora verso le urne, dove Erdogan spera di recuperare la maggioranza assoluta: un esito che per i sondaggi resta improbabile finché 4 partiti supereranno lo sbarramento del 10%. La Turchia ci arriva però con una valuta in caduta libera - in questi giorni ai minimi storici contro euro e dollaro - e un conflitto riesploso nelle regioni curde dopo due anni e mezzo di negoziati di pace: due colpi durissimi alla stabilità che era stata il fiore all'occhiello di Erdogan.
(ANSAmed).