Ma il dottor Mustafa resta un privilegiato rispetto alla maggior parte dei suoi connazionali. Perché, a fronte di una forza lavoro potenziale di 1,8 milioni di persone, oggi non sono più di 50 mila i siriani che hanno ottenuto il permesso di lavoro in Turchia. Un gap enorme che alimenta economia sommersa e sfruttamento. Dopo aver investito circa metà dei primi 3 miliardi di euro dell'accordo con Ankara per il programma che aiuta quasi un milione e mezzo di rifugiati con le spese quotidiane attraverso una carta ricaricabile, l'Ue punta ora ad andare oltre l'emergenza.
Entro l'anno è attesa la firma dei primi contratti finanziati con la seconda tranche, con cui Bruxelles vorrebbe favorire maggiormente progetti per creare opportunità di lavoro e imprenditoriali. "L'obiettivo è che alla fine riescano a camminare con le proprie gambe", spiega l'ambasciatore Ue in Turchia, Christian Berger.
Vista da Gaziantep, la sfida per uscire dal gorgo dell'economia sommersa appare cruciale. A una manciata di chilometri dalla Siria, sulle soglie dell'antica Mesopotamia, sorge il più grande centro del sud-est turco, circondato da aree industriali che si estendono a perdita d'occhio tra la vegetazione autunnale di ulivi e pistacchi.
Qui ci sono 1.500 aziende create dai rifugiati, sulle 12 mila in tutto il Paese, spiega Khaled Bablli, del direttivo degli imprenditori siriani. Gente che dopo aver perso le loro fabbriche sotto le bombe è ripartita da zero.
Come Aiman Hadri, amministratore della 'Zirve As Makina', che con il fratello Amer ha rifondato qui l'azienda di imballaggi e macchinari industriali distrutta ad Aleppo: "L'investimento iniziale nel 2013 è stato di un milione di dollari. E oggi diamo lavoro a 65 persone, di cui il 20% siriani". Ma quelli rimasti per strada sono tanti. "A Gaziantep sono arrivati quasi 500 mila siriani, e oggi la popolazione è di 2 milioni. Qui cerchiamo di formarli, perché una vera pace sociale si otterrà solo quando troveranno un lavoro e avranno di che vivere in modo indipendente", dicono alla Camera degli industriali turchi, dove in un anno e mezzo duemila giovani rifugiati hanno seguito corsi di formazione professionale.
Una sfida per cui anche l'amministrazione invoca progetti di sviluppo: "Abbiamo raggiunto con 8 anni di anticipo le nostre stime di crescita della popolazione. Le conseguenze per i servizi pubblici sono state enormi. Finora ce l'abbiamo fatta.
Ma non possiamo vivere per sempre in emergenza". (ANSAmed).