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Margherita, un tumore cerebrale a 22 anni ma ora corro 10 km al giorno

Grazie alla fiducia di "trasformare l'impossibile in possibile"

Redazione ANSA ROMA

 "Mamma ti prometto che andrà tutto bene". Questa è la promessa che ho fatto a mia madre quando, nelle stanze dell'Ospedale Sant'Eugenio di Roma, le comunicai che mi era stato diagnosticato un tumore maligno nella zona fronto-parietale sinistra del cervello. Era l'11 dicembre del 2012, anniversario della scomparsa di mio padre, avvenuta esattamente otto anni prima.
    Mi ero laureata appena 11 giorni prima e non avevo avuto nessuno strano sintomo che lasciasse pensare a un tumore, se non un prolungato mal di testa che avevo attribuito alle tante ore passate a scrivere la tesi. Invece un pomeriggio, dopo aver lasciato la macchina nel parcheggio dell'università, inizio a sentire una sensazione di paralisi al piede, poi lungo la gamba e salire sempre più verso l'alto: in 10 minuti non riuscivo più a muovere nulla. Mi stavo improvvisamente paralizzando. Strillo chiedendo aiuto, chiamo l'ambulanza che non arriva, riesco a telefonare a mia madre. Quindi la corsa all'ospedale più vicino, il Sant'Eugenio. Dalla tac si vede una massa enorme: tumore maligno, difficilmente operabile, mi dicono. Con l'ambulanza mi portano al Cto, dove anche la seconda diagnosi mi dà per spacciata: mi propongono un'operazione che prevede una parziale rimozione della massa, un successivo coma farmacologico e radioterapia. Detto così può sembrare folle, ma io avevo nel cuore una certezza assoluta, di vincere sulla malattia. Anzi, anche quella di rimanere completamente illesa. A darmi la forza è stata la fiducia di poter "trasformare l'impossibile in possibile", come mi insegna il mio Buddismo.
    Dopo aver consultato diversi esperti, vengo trasferita nel reparto di neurochirurgia del Policlinico Umberto I di Roma, dove i medici mi danno una vaga speranza: potrebbe esserci una remota possibilità che non si tratti di una massa maligna. Ne ero sempre stata certa. Decidono di operarmi ma mi dicono comunque che, qualora fossi sopravvissuta all'operazione, avrei probabilmente perso l'uso della parola e le capacità motorie, data la posizione della massa proprio sui centri neurologici del linguaggio e del movimento. Ma io avevo deciso di vivere.
    Quindi, senza dubitare che "non c'è inverno che non si trasformi in primavera", entro in sala operatoria. Positiva, come in tutto quel 'viaggio'.
    Mi sveglio dopo un indefinito e lunghissimo numero di ore di intervento. Apro gli occhi e vedo. Provo a parlare, e parlo.
    Provo a muovermi, e il mio corpo risponde. Era andata esattamente come avevo promesso a mia madre. La biopsia, diversamente dalle prognosi, dice che il tumore è benigno: né chemio né radio ma solo riabilitazione e, dopo poco tempo, ricomincio camminare. La ripresa non è stata facile però: sono stata a casa per 6-7 mesi e con i pesanti effetti di antiepilettici che inizialmente mi hanno reso depressa e aggressiva. Ma anche in quel momento ho rideterminato di vincere. Così mi sono iscritta alla Laurea Specialistica. Quindi sono andata a Londra a lavorare e studiare. Era la mia rivalsa per me che ero stata considerata disabile all'80%. Oggi lavoro presso le Nazioni Unite e mi occupo di sicurezza alimentare, il mio sogno. Ho 27 anni e corro 10 km ogni giorno, amo fare trekking e due anni fa ho pedalato in bici per 800 km da Berlino a Copenaghen. Prima non avevo mai fatto sport, ma aver rischiato di non poter utilizzare le gambe forse mi ha portato ad amarle ancora di più. La pratica buddista, insieme alla grande gratitudine per mia madre, la mia migliore amica, così come al desiderio di avere una famiglia con il mio compagno, sono stati la mia forza trainante. Ad oggi so che c'è una piccola probabilità che la massa ritorni, i medici dicono il 5%. Ma io non ci penso, e il mio obiettivo è utilizzare questa mia esperienza per dare speranza a tutti i giovani colpiti da gravi malattie.
   

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