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Luce, ombra, colori. La visione di Storaro

Luce, ombra, colori. La visione di Storaro

A Roma l'arte del maestro dell' immagine cinematografica

ROMA, 20 settembre 2020, 19:09

di Luciano Fioramonti

ANSACheck

Fori Imperiali: accese luci Storaro, illuminazione da Oscar - RIPRODUZIONE RISERVATA

Fori Imperiali: accese luci Storaro, illuminazione da Oscar - RIPRODUZIONE RISERVATA
Fori Imperiali: accese luci Storaro, illuminazione da Oscar - RIPRODUZIONE RISERVATA

ROMA -  Il maestro dell' immagine cinematografica folgorato dalla potenza di Caravaggio. ''Senza quel quadro avrei fatto un altro mestiere'', dice Vittorio Storaro indicando la riproduzione del capolavoro custodito nella Chiesa di San Luigi dei Francesi, con quel raggio di sole che attraversa la grande tela che ''separa e la luce dall' oscurità e divide in due l' universo''. L' autore della fotografia premiato con tre Oscar per film entrati nella storia del cinema non si stanca di ripetere il debito di riconoscenza verso il sommo Michelangelo Merisi percorrendo le sale di Palazzo Merulana, il bellissimo spazio espositivo privato di Roma che ospita fino al 1 novembre la mostra ''Vittorio Storaro: Scrivere con la luce'', racconto appassionato di lunga una pagina della sua carriera, dalla fine degli anni Sessanta al 1994, scritta accanto a registi straordinari, da Bernardo Bertolucci a Francis Ford Coppola, Giuseppe Patroni Griffi, Warren Beatty, Woody Allen. Accanto alle opere pittoriche della collezione Cerasi, si snodano 70 cavalletti luminosi, con 50 immagini di Storaro e 20 copie su tela di pietre miliari della pittura che lo hanno ispirato. Le cine-fotografie del maestro romano hanno una doppia impressione, mostrano due momenti del film, il racconto in movimento della storia. Promossa da Storaro Art, la mostra ha già toccato diverse città del mondo e arriva nella Capitale nel momento della ripresa dopo i mesi terribili del lockdown. Vittorio Storaro, 80 anni, è un fiume in piena di ricordi e aneddoti. La sua visita guidata è una seduta psicanalitica che miscela tecnica cinematografica, inconscio e riflessioni sulla simbologia dei colori, frutto di un suo lungo studio cominciato dopo la fine di ''Ultimo Tango a Parigi''. Anche la lettura dei capolavori della pittura confluisce nel legame tra consapevolezza artistica e livello onirico. Magritte, Francis Bacon, Paolo Uccello, Leonardo da Vinci così come gli altri autori hanno costituito il motivo guida di ogni film al quale Storaro ha dato il suo contributo inconfondibile. ''L' arancio che domina Ultimo tango - spiega - richiama il colore del tramonto, che è la fine del giorno ma simboleggia anche la fine della vita di un uomo e del protagonista''. "Quando sono arrivato a un momento di crescita, ho visto come era possibile esprimermi in fotografia con un senso cinematografico, ovvero unendo più di un'immagine - dice Storaro - in quanto la fotografia è espressione in una singola immagine, come la pittura; la cinematografia è invece un'espressione in immagini multiple. Questa, quindi, non è solo una mostra fotografica ma in realtà un'esposizione di varie forme di arte: la scrittura, perché tutto parte da una storia; la fotografia pura; la cinematografia".
    Il lavoro fotografico di Storaro è pensato e composto come un racconto d'immagini a sé stanti, di un fotografo narratore per immagini fisse. Il maestro della fotografia per il cinema - ''noi siamo co-autori, è il regista a decidere'', chiarisce - rievoca gli esordi, l' invito del padre proiezionista della Lux Film ''che ha messo il suo sogno sulle mie spalle'' dedicandomi al cinema, i cinque anni di studi di fotografia e poi al centro sperimentale di cinematografia dopo aver ricevuto ''il più bel no della mia vita'' da un direttore della fotografia che lo aveva rifiutato come collaborazione consigliandogli di perfezionare la sua preparazione. Storaro si sente ''un eterno studente'' e ripete più volte che il comandamento che lo ha guidato è ''crederci'', unito alla voglia di migliorarsi, conoscere e crescere. Per questo rifiutò molte offerte non sentendosi pronto. Fino a quando nel 1968 Franco Rossi gli propose di lavorare a ''Giovinezza, Giovinezza''. ''Vittorio - mi disse - lei è una persona speciale. Il suo amore per il rapporto tra luce e ombra mi aiuta a capire le inquadrature''. Poi con Bertolucci (Strategia del Ragno) e Dario Argento (L'uccello dalle piume di cristallo).
    Determinante fu l' incontro con Luca Ronconi per la versione televisiva del suo visionario ''Orlando Furioso'' teatrale.
    ''Il cinema come tutte le arti non è la realtà ma una interpretazione. Ognuno ha la sua visione'', sottolinea. C'è spazio per una carrellata di giudizi: ''Francis Coppola, il più grande; Marlon Brando, un genio; Liz Taylor, magnetica; Richard Burton, non riusciva a collegare la parola al movimento; Vanessa Redgrave, la più grande attrice che abbia mai conosciuto; Robert De Niro, in Novecento non era abituato a girare una scena dietro l'altra; Warren Beatty, per Reds non mi spiegò il film ma me lo recitò per due ore; Woody Allen, il più grande profeta della scrittura. Patroni Griffi, un vero intellettuale''. Il percorso si chiude con l' Ultimo imperatore, Il tè nel deserto e Il Piccolo Buddha. Accanto alla foto del film un quadro ripercorre la storia del personaggio e il suo punto di arrivo, l'Illuminazione. Un bel modo di scrivere per questa mostra la parola 'fine'.
   

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