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L'addio al veleno di Barroso, su di me solo falsità

Lo sfogo del presidente uscente della Commissione Ue

Redazione ANSA BRUXELLES
(ANSA) - BRUXELLES, 23 OTT - Addio al veleno per Josè Manuel Barroso dopo un decennio passato ai vertici di Bruxelles. Il portoghese sceglie di finire tra le polemiche - con un violento attacco all'Italia - i suoi due mandati alla guida della Commissione europea. Spesso accusato di eccessiva timidezza nei confronti dei 'grandi' d'Europa, Gran Bretagna e Germania in testa, a pochi giorni dalla fine del suo incarico si lascia andare a uno sfogo inusitato per la sua indole considerata dagli osservatori, e in molti casi anche dagli addetti ai lavori, fin troppo accondiscendente. A margine del vertice europeo che ha sancito di fatto il passaggio delle consegne con il suo successore, Jean-Claude Juncker, Barroso ha sorpreso tutti lasciandosi andare a un attacco a testa bassa contro Palazzo Chigi, colpevole, ai suoi occhi, di aver violato la 'liturgia comunitaria' rendendo pubblica la lettera con le osservazioni sulla legge di Stabilità. Ma, fatto ancora più inusuale, ha attaccato anche la stampa italiana, accusandola di pubblicare notizie in larga parte "false, surreali, che non hanno nulla a che vedere con la realtà, e se ce l'hanno è solo per caso, spesso francamente invenzioni". A bruciargli devono essere stati soprattutto i riferimenti all'esigenza di rifarsi un'immagine da 'duro' decisionista da spendere in una probabile nuova sfida nella politica portoghese, dove punta alla carica di presidente della Repubblica. Del resto, già martedì scorso Barroso aveva masticato amaro, in occasione del suo ultimo discorso da presidente della Commissione a Strasburgo, trovandosi a parlare davanti a un'Aula parlamentare semivuota. Segnale non tanto di un boicottaggio organizzato, quanto di semplice disinteresse per l'ultimo atto di un leader e a una stagione politica che non ha brillato per spirito d'iniziativa nonostante la necessità di affrontare una crisi gravissima e inedita. Quella di martedì scorso non è però stata la prima volta che il presidente uscente dell'esecutivo europeo ha dovuto fare i conti con l'ostilità della Eurocamera: nei mesi tremendi della crisi economica, quando tutta l'Unione era chiamata ad affrontare la peggiore depressione dopo quella del '29, aleggiò perfino l'ipotesi di una mozione di sfiducia ai suoi danni, in segno di protesta per la sua eccessiva arrendevolezza e passività davanti alle resistenze dei governi nazionali, in primo luogo della Germania di Angela Merkel. Al termine della sua carriera europea Barroso non ha però resistito alla tentazione di liberarsi dei cosiddetti sassolini che l'Italia, grazie ai vari governi che si sono avvicendati a Palazzo Chigi, gli ha infilato nelle scarpe negli ultimi dieci anni. Proprio a causa di sempre complesse e defatiganti trattative sulla gestione dei conti pubblici nazionali. Spesso accusato di essere troppo vicino agli inquilini che si sono succeduti al numero 10 di Downing Street, ma anche ai tedeschi o ai francesi, Barroso ha destato nel corso degli anni molti malumori su più fronti. E in fondo, diversi credono che tante delle ragioni degli euroscettici, anche se non tutte, hanno trovato terreno fertile anche per colpa del modo in cui questo popolare portoghese ha interpretato il ruolo di Presidente della Commissione europea, considerata da troppi europei il regno di una burocrazia costosa e inconcludente, chiusa alle esigenze e ai bisogni dei cittadini afflitti dalla crisi, attenta solo a tutelare e difendere i propri privilegi.(ANSA).

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