Un testo che, al di fuori della carta, non vide in realtà mai la luce, seppellito dopo poco più di sei mesi dal 'non' francese e dal 'nee' olandese dei referendum popolari. Dieci anni e due Commissioni Barroso dopo, con un allargamento non ancora assorbito sino in fondo e la crisi economica più devastante della sua storia contemporanea che ha riaperto le porte ai populismi, l'Europa si trova di fronte alla sua ultima chance. E affida il suo riscatto, cercando quel salto di qualità da entità economica a una vera e propria costruzione socio-politica, al mandato della nuova Commissione Ue guidata da Jean-Claude Juncker. "Sarà quella dell'ultima opportunità" per l'Ue, ha riconosciuto, o piuttosto avvertito, lo stesso ex premier lussemburghese e unico sopravvissuto a Maastricht e anche a quello che si rivelò il fallimento della firma di Roma: "O riusciamo a riavvicinare i cittadini o sarà un fiasco totale".
Lungo e difficoltoso era già stato il cammino per arrivare al Campidoglio, quando sotto la regia degli allora presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e premier Silvio Berlusconi, tutti i leader Ue giunsero a Roma per quella che sembrava la nuova svolta epocale del sogno europeo, dopo i Trattati di Roma del 1957 che sancirono la nascita della Comunità economica europea. Era infatti dalla Conferenza intergovernativa di Nizza del 2000 che i paesi europei cercavano un'intesa per riunire da una parte tutto il corpus legislativo europeo e dall'altro dotare l'Europa di una marcia in più, rendendola finalmente un'entità coerente al suo interno e più potente per far sentire la sua voce sulla scena mondiale. I lavori furono lunghi e complessi, e dovettero passare dalla convocazione della Convenzione europea nel febbraio 2002, guidata dall'ex presidente francese Valéry Giscard d'Estaing con Giuliano Amato e il belga Jean-Luc Dehaene alla vicepresidenza, attraverso tre presidenze Ue, tra cui l'italiana sotto premierato di Berlusconi. Allora erano capi di stato e di governo Chirac per la Francia, Schroeder per la Germania, Blair per la Gran Bretagna e per la Spagna Zapatero, che aveva da poco raccolto il testimone da Aznar. Barroso stava per iniziare il suo primo mandato alla Commissione e Prodi stava concludendo il suo. La crisi non aveva ancora colpito ma il malessere nei confronti dell'Europa stava già montando. Il voto negativo dei francesi e degli olandesi, due dei paesi fondatori dell'Ue, alla costituzione europea arrivò come una doccia fredda a metà 2005.
La sfida lanciata allora dal messaggio dei cittadini - non siamo contro l'Europa ma non vogliamo 'questa' Europa - non è ancora stata raccolta oggi, come hanno dimostrato le elezioni europee di maggio in cui quasi un terzo dei voti è andato a partiti euroscettici o populisti. Allo spettro dell' 'idraulico polacco' con l'allargamento a Est a 10 paesi nel 2004, poi Bulgaria e Romania nel 2007 e Croazia nel 2013, nel 2008 si è aggiunta la crisi. Entrato in vigore il Trattato di Lisbona a fine 2009, la versione 'light' dell'abortita costituzione europea ha fatto i suoi primi passi proprio nel bel mezzo della tempesta economica, sociale e politica peggiore dal 1929. La figura del presidente stabile dell'Ue e dell'Alto rappresentante per la politica estera, i poteri rafforzati dell'Europarlamento e nuove competenze comunitarie sono finiti appiattiti sulle misure economiche 'lacrime e sangue' imposte ai Paesi. "Voglio un'Europa più sociale e vicina ai cittadini", ha promesso Juncker. Resta però un trauma il ricordo di quel 29 ottobre 2004 e l'idea di riaprire il vaso di Pandora dei Trattati Ue.(ANSA)
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