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L'Austria e le "crisi dei rifugiati"

A due settimane dalle elezioni tematica centrale per partiti

11 ottobre, 15:40

di Sarah Knoll, Karlo Ruzicic-Kessler, ricercatori dell'Istituto di ricerca storica moderna e contemporanea dell'Accademia austriaca delle Scienze (Osterreichische Akademie der Wissenschaften) di Vienna

 

(ANSA) - Vienna (Austria) - Alla fine dell'estate del 2015 la "crisi dei rifugiati" raggiunse l'Austria attraverso la cosiddetta "rotta balcanica", che nel frattempo è stata chiusa anche su iniziativa del ministro degli affari esteri e candidato alla cancelleria austriaca, Sebastian Kurz. Da allora, la questione della "onda di rifugiati" fa parte del discorso politico e pubblico austriaco. A due settimane dalle prossime elezioni legislative, questa tematica rimane una delle più importanti per tutti i partiti politici. Oramai, mentre Angela Merkel in Germania continua sulla rotta di non voler porre un numero massimo ai rifugiati, la politica austriaca ha già introdotto una quota annua per i richiedenti di asilo. Questa manovra della coalizione socialdemocratico-popolare dimostra anche la paura percepita dai partiti di centro verso un ulteriore rafforzamento del partito di estrema destra, il partito della libertà (Fpoe). Tenendo a mente il fatto che la politica e la società austrica percepiscono il paese come avanguardia storica dell'accoglienza, questa tradizione deve essere esaminata in una matrice storica.

Cinque furono le maggiori "ondate" di rifugiati nell'Austria durante la seconda metà del 20° secolo. In primis si tratta della crisi ungherese del 1956, quando decine di migliaia di rifugiati raggiunsero l'Austria. La seconda grande crisi riguardò gli eventi di Praga del 1968, seguita dalla crisi polacca del 1981/82 e dall'esodo dalla Germania dell'est e dalla Romania nel 1989/90, e infine, "l'ondata" d'immigrati durante le guerre di Jugoslavia nei primi anni 90.

La narrazione che vede l'Austria come paese accogliente comincia proprio con i fatti d'Ungheria. All'inizio l'Austria accolse volentieri i rifugiati dall'est, un fattore da esaminare nel complesso dell'anticomunismo dell'epoca. In seguito, gli aiuti internazionali tardarono ad arrivare e i nuovi arrivati cominciarono a competere nel mercato lavorativo, cambiando radicalmente la percezione di questi rifugiati nella società austriaca. A questo punto, il transito in altri paesi divenne un imperativo. In effetti, questo dimostra una peculiarità della politica austriaca verso i rifugiati: l'Austria doveva essere un paese di transito e non una nuova patria - un fatto dimostrato anche negli ultimi anni, quando i rifugiati siriani furono condotti fino alla Germania. Infine, per quanto riguarda l'Ungheria, l'espatrio in altri paesi, soprattutto nell'America settentrionale fu organizzato.

Nel 1968 questa politica era ancora attiva. I rifugiati dalla Cecoslovacchia furono definiti "rifugiati turisti" e nella maggior parte dei casi lasciarono l'Austria per altri paesi o ritornarono in patria. Nel caso dei rifugiati dalla Germania dell'est nel 1989, si trattò del contingente più gradito dalla società austriaca, trattandosi di persone che fin dall'inizio intendevano utilizzare l'Austria come paese di transito per raggiungere la Repubblica Federale Tedesca, che pagò l'alloggio e l'approvvigionamento.

Più interessante si fa il caso dei rifugiati polacchi nel 1981/82 che dall'inizio furono percepiti come "rifugiati economici" - un argomento molto presente anche nella discussione odierna. L'imposizione del diritto marziale in Polonia cambiò questa percezione per un breve periodo, mentre la politica austriaca puntò anche in questo caso sulla carta del transito in altri paesi. Simile fu la risposta all'entrata di romeni del 1989/90. Questi non solo condividevano lo stigma del "rifugiato economico" con i polacchi, ma furono persino percepiti come un pericolo per l'ordine pubblico e una minaccia come "delinquenti sessuali". Un fattore da non sottovalutare nell'interpretazione di queste "crisi" è anche quello economico. Negli anni 80 l'Austria si trovava in una crisi economica e dunque, la società percepiva come uno sbaglio spendere soldi per i rifugiati.

Tutto questo non vuole dire che l'Austria non possa vantarsi di un'impressionante esperienza umanitaria durante la seconda metà del 20° secolo. Però, è da evidenziare che solo anni dopo i fatti menzionati, le vicende furono interpretate come un grande successo dal punto di vista umanitario. Proprio in questi giorni di campagna elettorale, quando la questione dei rifugiati diventa una delle più importanti da affrontare, sarebbe opportuno che la classe politica ricordasse quali esempi storici esistono e ne tragga delle conclusioni per la politica odierna.

(ANSA).

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