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I Balcani non sono il passato ma il futuro

Intervento dell'editorialista dell'Espresso Gigi Riva

16 febbraio, 20:58
(di Gigi Riva, editorialista L'Espresso) (ANSA) - TRIESTE, 16 FEB - Negli Anni Novanta le guerre balcaniche sono state lette come un retaggio del passato, un'anomalia nel mondo in cui si sarebbe dovuto instaurare, come da vaticinio di George Bush padre allora presidente degli Stati Uniti, un "nuovo ordine" di pace e prosperità dopo che l'Occidente aveva sconfitto il comunismo e l'impero sovietico.

Invece annunciavano un "Medioevo futuro", erano il prisma con cui leggere gli eventi che hanno finito per travolgerci. E non siamo stati capaci di imparare la lezione.

E' nella ex Jugoslavia che sono entrati in crisi i concetti di tolleranza e convivenza. E' lì che si è affermato il principio per il quale popoli diversi (ma diversi quanto, poi?) non potevano più vivere assieme. La catena di secessioni dal centralismo di Belgrado è stata un cattivo esempio che ha fatto rapidamente scuola. Abbiamo appena assistito alle tentazioni separatiste, ad esempio, della Catalogna. Ma fermenti analoghi si registrano in Belgio tra i fiamminghi che vorrebbero staccarsi dai valloni, nella Scozia che forse andrà a un secondo referendum per abbandonare il Regno Unito. In tutto l'arco Cisalpino e Transalpino movimenti secessionisti sono sorti in Francia (Savoia), in Austria (Carinzia), nel Nord Italia soprattutto nella fase secessionista della Lega di Bossi.

Sentimento lontano dall'essere scomparso nonostante la postura nazionalista del nuovo leader Matteo Salvini.

Nel resto d'Europa hanno fortuna le stesse parole d'ordine udite al tempo dell'implosione del Paese che fu di Tito, "padroni a casa nostra", "diamo troppi soldi al governo centrale rispetto a quelli reinvestiti nel nostro territorio". Analogamente a Belgrado sono diventate "ladrone" Roma, Vienna, Madrid, Bruxelles, Londra, Parigi. Tanto da poter dire che, in quest'ultimo scorcio del nostro tempo, è il secessionismo dei ricchi a prevalere, stretto parente di un egoismo e alternativo al concetto di solidarietà e redistribuzione verso le regioni più povere prevalso dal secondo dopoguerra fin verso la fine del secolo scorso.

La crisi economica, iniziata nel 2008 e da cui a fatica stiamo uscendo solo ora, ha acuito il desiderio di chiusura nella propria tribù. I timori scatenati dalla globalizzazione hanno esasperato il dualismo tra "noi" e "loro" cioè i forestieri.

Come se solo dentro l'etnos si potesse essere sicuri e al riparo dallo spaesamento provato nei confronti di un mondo fattosi all'improvviso piccolo e troppo competitivo. Gli stranieri, in particolare i migranti, sono diventati il capro espiatorio cui addossare ogni colpa, tanto più perché il fenomeno ha assunto dimensioni enormi e, oggettivamente, di difficile gestione. Sono anche diventati ottimo strumento di propaganda per quegli "impresari della paura" che sfruttano il tema per staccare dividendi nelle urne.

Anche il cosiddetto "conflitto di civiltà" ha avuto origine negli Anni Novanta sulla sponda orientale dell'Adriatico.

Cattolici croati contro ortodossi serbi. Cattolici croati contro musulmani bosniaci. Ortodossi serbi contro musulmani bosniaci.

Tutti convinti di combattere la propria "guerra santa".

Ricordiamo sempre l'11 settembre di New York, il 9/11 visto che gli americani antepongono il mese al giorno. Abbiamo avuto anche noi europei il nostro 9/11, e ben otto anni prima. Il 9 novembre del 1993 i croati abbatterono il ponte di Mostar per cancellare la presenza dell'Islam in una terra che considerano loro. In Bosnia si formò un battaglione straniero composto da mujaheddin, foreign fighters arrivati in difesa dei correligionari minacciati (correligionari che per la verità erano in maggioranza atei).

Invece del nostro passato, i Balcani sono il nostro futuro. Per questo dovremmo studiarli con maggiore cura e senza quella degnazione con cui normalmente liquidiamo una "terra periferica", dove peraltro è scoccata la scintilla che la provocato la prima guerra mondiale. Come ci ha insegnato il grande scrittore Dzevad Karahasan Sarajevo è "il centro del mondo". (ANSA).

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