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Il Gesù di Amèlie Nothomb in 'Sete'

Il Gesù di Amèlie Nothomb in 'Sete'

Per Voland il ventottesimo romanzo della scrittrice franco belga

ROMA, 05 aprile 2020, 12:00

di Mauretta Capuano

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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AMELIE NOTHOMB, SETE (VOLAND, PP 128, EURO 16.00). E' un uomo che riflette sul suo destino, tormentato, il Gesù Cristo di Amélie Nothomb, protagonista e voce narrante del suo ultimo romanzo 'Sete', con cui per un soffio è arrivata seconda al Premio Goncourt.
    In una versione personalissima della Passione del figlio di Dio, l'eccentrica scrittrice franco belga dà corpo e voce all'amore e alla colpa e ci mostra come "l'enigma del male non sia nulla se paragonato a quello della mediocrità".
    Il romanzo, pubblicato da Voland nella traduzione di Isabella Mattazzi, si apre con Gesù Cristo da solo, nella cella, a confronto con la paura, in attesa della crocifissione "la condanna riservata ai crimini più vergognosi". "Non mi aspettavo un'umiliazione simile. Era questo dunque che avevano chiesto a Pilato" dice il figlio di Dio. "Conoscevano i miei poteri e hanno potuto constatare che non me ne sono servito per salvarmi. Non avevano quindi alcun dubbio su come sarebbe finita la storia. Una crocifissione non contempla altri finali possibili" aggiunge.
    Il Gesù Cristo della scrittrice si sofferma sui sentimenti umani, sul piacere che percepisce nelle testimonianze di chi lo sta condannando, sul tradimento di Ponzio Pilato. "Godevano a comportarsi come miserabili davanti a me. La loro unica delusione era che la mia sofferenza non si vedeva poi troppo".
    In un dialogo con se stesso che non lascia tregua, il Cristo umano di 'Sete' è sbalordito, si indigna, si rivolge a suo Padre ma la risposta è il silenzio.
    "Sono un uomo, niente di ciò che appartiene all'umano - dice - mi è estraneo. Eppure non riesco a decifrare la natura del sentimento che si è impadronito di loro al momento di scagliare contro di me quegli abomini" e considera questa sua incapacità di comprensione "una sconfitta, una mancanza".
    Nata a Kobe, in Giappone nel 1967, dove il padre era diplomatico, la Nothomb ha esordito con 'Igiene dell'assassino' nel 1992. Da 22 anni pubblica un libro all'anno che scala subito le classifiche, ma 'Sete' è un romanzo che occupa un posto particolare nella produzione dell'ironica e pungente scrittrice, molto amata in Italia dove era attesa per un lungo tour cancellato per la pandemia. Nel suo ventottesimo romanzo, la Nothomb, che viene da una famiglia molto cattolica, mostra un'audacia che va oltre le prove coraggiose a cui ci ha abituato quando ha raccontato il suo rapporto con l'anoressia o quando parlando della suo successo ha detto "sono nata sotto una buona stella, ma temo che andrò all'inferno".
    Questa volta si misura con la fede, con i miracoli, con il peccato e la redenzione e con l'incarnazione. E anche con il rapporto con la madre, con l'essere figlio di Maria Maddalena.
    "Mio padre mi ha inviato sulla terra per portare la fede. Fede in cosa? In lui. Anche se si è degnato di includermi all'interno del concetto con l'idea di trinità, trovo tutto allucinante" afferma il Cristo della Nothomb, ma soprattutto si chiede in che cosa creda lui. "All'inizio ho accettato questo progetto demenziale perché credevo nella possibilità di cambiare gli uomini. Abbiamo visto come è finita. Se sono riuscito a cambiarne tre, è già tanto" per poi constatare che "le persone cambiano solo se la cosa parte da loro, ed è rarissimo che lo vogliano davvero".
    E' un percorso carnale e mistico nel quale le domande svaniscono proprio davanti alla prova della fede che come accade per l'amore, quando c'è lo sappiamo e basta.
   

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