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Mario Biondi, 'Ulisse' il lavoro di una vita

Mario Biondi, 'Ulisse' il lavoro di una vita

Esce 4 giugno la fatica dello scrittore (premio Campiello 1985)

ROMA, 02 giugno 2020, 11:57

Redazione ANSA

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(di Paolo Petroni) JAMES JOYCE, 'ULISSE' (La Nave di Teseo, pag. 1056, euro 25,00). Sono passati esattamente 60 anni da quando uscì in Italia la prima traduzione dell' ''Ulisse'' di James Joyce pubblicata da Mondadori, un'opera di cui, chi non conosceva bene l'inglese, aveva sentito molto parlare da quando era uscita nel 1922, come di uno dei punti di riferimento della nascita del romanzo moderno. ''Una traduzione estremamente impegnativa, un lavoro meraviglioso, visti gli strumenti e il materiale bibliografico che aveva allora a disposizione'', sottolinea Mario Biondi, poeta, scrittore (con ''Gli occhi di una donna'' ha vinto il Campiello nel 1985) e uno dei più apprezzati nostri traduttori dall'inglese, che firma oggi una nuova traduzione, un volume di oltre mille pagine edito da La nave di Teseo in uscita il 4 giugno, arricchita da un apparato di note indispensabile per comprendere la ricchezza della scrittura.
    Da quella mitica traduzione del 1960 passarono oltre 50 anni, a parte una particolare edizione del 1995 firmata da Bona Flecchia, prima che altri traduttori si misurassero con quel testo: Enrico Terrinoni con Carlo Bigazzi nel 2012 (Newton Compton) e Gianni Celati nel 2013 (Einaudi).
    Quello di Biondi ''è il lavoro di una vita - come racconta lui stesso - cui ho iniziato a pensare non a caso 60 anni fa e con cui ho solo provato a misurami negli anni '70, giudicando però di non essere all'altezza dell'impresa. Mi sentivo, io che un tempo ho fatto atletica seriamente, come se avessi voluto sfidare l'amico e coetaneo inarrivabile Berruti sui 100 metri.
    Oggi invece, con 21 libri miei editi e, a 80 anni con più tempo libero e 71 traduzioni pubblicate mi sono detto: sei un traduttore? Allora provaci''.
    Uno dei temi e problemi del tradurre Joyce è il suono, la musicalità della sua prosa che, per Umberto Eco, si capiva davvero solo leggendola ad alta voce. E Biondi ricorda come ''l'italiano e l'inglese abbiano due sonorità molto differenti e che l'irlandese (di Joyce) ne abbia una ancora diversa molto più ritmata, difficile da riportare nella lingua italiana, più suadente, meno sincopata''. Allora la scelta è stata radicale: ''immergersi nell'opera e poi iniziare a tradurla sentendomi James Joyce che scrive 'Ulisse' in italiano e Mr. Bloom è diventato il Signor Bloom''.
    ''Ulisse'' è la storia minuziosa di una giornata, il 16 giugno 1904, di un gruppo di dublinesi e il mito dell'eroe delll'Odissea serve a Joyce ''per dare un senso e una forma all'immensa futilità e anarchia della storia contemporanea'', come ha scritto Eliot, e per descrivere il perdersi nell'esistenza quotidiana dell'uomo d'oggi.
    Il romanzo considerato uno dei più importanti del Novecento, ha uno stile che varia su tutti i registri dal parodistico al dottrinale e usa spesso il cosiddetto ''monologo interiore'', ovvero il riportare un flusso di coscienza, in cui i pensieri del protagonista scorrono in assoluta libertà. Così, via via la lettura del racconto joyciano si fa impegnativa: ''Certo, a lui non importava niente che i dialoghi complessi potessero risultare oscuri per il lettore, anzi: più oscurità c'era, più - secondo lui - si introducevano possibili 'portali di scoperta' - spiega Biondi - E come tali arrivava persino ad accogliere in qualche caso gli errori dei tipografi, senza correggerli e ridendone beato; in altri casi, però, poteva essere maniacale nelle sue correzioni. Comunque sia: una cosa è l'oscurità dell'autore, voluta o imposta dalla furia creativa (e come tale subita? Chissà…), una del tutto diversa è quella del traduttore, che potrebbe ingenerare il dubbio: ha voluto rispettare l'oscurità dell'autore o non ha capito bene? Meglio, secondo me, cercare di evitarla.... come traduttore ho il dovere di offrire un testo chiaro, dimostrando di averlo capito al meglio''. Ed ecco allora come ci restituisce Biondi uno dei punti più discussi, il celebre inizio del capitolo XI: ''Bronzo e oro fianco a fianco sentirono gli zoccoli ferrati, dacciaiosonanti.
    / Impertnt tntntn. / Schegge, piluccandosi schegge da rocciosa unghia di pollice, / schegge. / Tremenda! E oro arrossì di più.
    / Una roca nota di piffero fiorì. / Fiorì. La sfumatura della segale in fiore''. Mentre per limitarci alle versioni recenti, senza voler fare paragoni fuori posto, un'altro scrittore, Gianni Celati, lo ha risolto in questo modo: ''Bronzo con oro udito il suon di zoccoli, d'acciaio rombanti. / Impertnènt tnènt tnènt. / Scaglie, via sfregando scaglie dalla silicea unghia del pollice. Orrore! Oro arrossì dal ribrezzo. Roca nota di piffero sonò''. E Terrinoni e Bigazzi: ''Bronzo accanto a oro udì ferri di zoccolo, d'acciaio tonante. / Imperthnthn thnthnthn. / Schegge, estraendo schegge dall'unghia coriacea del pollice, schegge. / Disgustoso! E Oro arrossì di più. Soffiò una fioca nota di piffero''.
    E Biondi conclude la sua articolata e ricca nota introduttiva affermando: ''È del tutto possibile che qualche errore mi sia scappato. Prego il lettore di perdonarmi e di ricordarsi che, gli "errori sono […] i portali della scoperta"… O magari, semplicemente, interpretazioni''.
   

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