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Adele Grisendi, la mia vita con Pansa

Rizzoli

Adele Grisendi, la mia vita con Pansa

L'omaggio della compagna nell'anniversario della morte

ROMA, 12 gennaio 2021, 10:13

di Michele Cassano

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

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LA MIA VITA CON GIAMPAOLO PANSA, ADELE GRISENDI (RIZZOLI, 414 PP, 19,50 EURO) - "Quando non ci sarò più, devi scrivere la nostra storia", era la richiesta di Giampaolo Pansa alla sua compagna Adele Grisendi, che ora, a un anno dalla scomparsa del giornalista, onora quell'impegno in un libro intimo, che racconta il loro amore sullo sfondo di un'Italia in profonda trasformazione.
    La politica italiana, il mondo che cambiava, il giornalismo tornano in ogni pagina di un libro che parla in prima battuta di un uomo e di una relazione, nata un po' per caso e andata avanti per trenta anni in una concordia inconsueta, sorretta da un affetto mai scemato, anzi cresciuto tra dimostrazioni quotidiane di un amore quasi adolescenziale.
    Così è già dal racconto del primo incontro, sul treno da Roma per Firenze e Reggio Emilia il 23 novembre 1989, del quale l'autrice ricorda ogni singolo particolare. Fa tenerezza lo sforzo di Adele, che, certo non più ragazzina, si convince a importunare il grande cronista chiedendogli come era finita la riunione del Pci di quella mattina che avrebbe segnato la fine di un'epoca con la nascita del Pds.
    Un amore nato quando Pansa aveva superato i 50 anni e lei, dirigente della Cgil, i 40, che si è rivelato "impossibile non vivere" e che ha fatto crescere entrambi, trasformandoli in persone diverse. "Oltre all'intensità del sentimento che ci legava - sottolinea -, tra noi esisteva un profondissimo rispetto reciproco. E una complicità altrettanto forte".
    L'uomo Pansa emerge in tutti i suoi aspetti, nella vita personale e quella lavorativa che si intrecciano continuamente.
    "Allegro e impertinente - ricorda la compagna -, un po' narcisista, a proprio agio nel trovarsi al centro dell'attenzione". Un uomo curioso fino all'ossessione, che sapeva inanellare domande una dietro l'altra senza sosta, in grado di raccontare gli eventi attraverso dettagli carpiti con il suo celebre binocolo, che altri non coglievano.
    Un uomo ottimista, capace di affrontare con determinazione gli insulti seguiti all'uscita dei suoi libri revisionisti sulla guerra civile italiana tra il 1943 e il 1946, oppure di rialzarsi e ripartire dopo le critiche subite per gli attacchi al mondo del giornalismo contenuti nei suoi testi. E ancora, dopo gli strappi con i colleghi, a partire dall'addio a La Repubblica, nel luglio 1991 per passare alla vicedirezione de L'Espresso, che venne vissuto come lesa maestà da Eugenio Scalfari.
    Grisendi racconta quegli anni, centrali per la storia del giornalismo italiano, anche dall'interno delle redazioni che poteva frequentare grazie a quel rapporto. Emerge il ritratto di un giornalista innamorato del proprio lavoro, che ha pagato ad alto prezzo la scelta di non cedere mai sul piano dell'indipendenza e della libertà di pensiero. Il suo pacifismo, fonte di contrasti con i colleghi guerristi negli anni del conflitto in Iraq, il passaggio ai giornali moderati e quindi a Dagospia negli ultimi anni di vita, fino alle feroci accuse rivoltegli dopo la pubblicazione de Il sangue dei vinti del 2003, quando da anziano Pansa racconta di essere tornato a fare a fare lo "spaccavetri".
    Grisendi non nasconde i lati più intimi del loro rapporto, le serate al cinema o a guardare la Juventus in tv. Il loro amore per Siena e per San Casciano, dove il giornalista è sepolto.
    Fino agli ultimi mesi difficili, la malattia. "Un modo - spiega l'autrice - per lasciare testimonianza dei tanti anni d'amore e di complicità che abbiamo vissuto e di ringraziare la vita che ci ha dato tanto".
   

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