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Speciali

  • Achille Lauro: trentacinque anni fa vicenda. 'Ma fu gesto di rabbia'

Speciali Editoriali 07 ottobre

Achille Lauro: trentacinque anni fa vicenda. 'Ma fu gesto di rabbia'

Testimoni: 'Terroristi uccisero per istinto. Armi sulla nave con la scusa di un film'

I funerali di Leon Klinghoffer l'americano disabile ucciso e gettato in mare dai terroristi durante il sequestro dell'Achille Lauro © ANSA

   Una nave nel Mediterraneo come una polveriera su due Paesi, appesi al filo di un telefono tra la Casa Bianca e Palazzo Chigi. Ad accendere la miccia sulla vicenda dell'Achille Lauro fu l'omicidio di un passeggero americano a bordo, ucciso da un terrorista: ma tutto - raccontano oggi i testimoni di allora - sarebbe nato da "un banale scatto di rabbia" che cambiò gli scenari. Trentacinque anni dopo il sequestro del transatlantico da crociera italiano continuano ad aggiornarsi le versioni di una vicenda che, nonostante sentenze e colpevoli, resta ancora incompleta.


    Quel thriller politico drammaticamente reale cominciò il 7 ottobre 1985, quando al largo delle coste egiziane fu presa d'assalto la nave con 545 persone, ostaggio di un commando di quattro dirottatori sfuggiti al controllo dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina. Uno di loro uccise il 53enne statunitense di fede ebraica Leon Klinghoffer, un uomo in sedia a rotelle il cui cadavere fu gettato in mare con la carrozzina: l'omicidio, dopo una trattativa di tre giorni e la resa dei sequestratori, spostò l'epicentro della crisi diplomatica nella base Nato di Sigonella in Sicilia. Qui, con i militari italiani e Usa a fronteggiarsi per ore sulla pista d'atterraggio, cominciò il braccio di ferro tra Craxi e Reagan. Dopo aver fatto dirottare il Boeing egiziano con i sequestratori già catturati verso il nostro Paese, gli Stati Uniti incassarono il 'no' dall'Italia sull'estradizione dei killer di Klinghoffer. Furono processati a Genova e condannati, ma ancora oggi sulla vicenda del sequestro si ricostruiscono nuove verità.

   "Uno dei misteri irrisolti di questo caso resta quale fosse la vera missione del commando, che ufficialmente era di prendere in ostaggio passeggeri e chiedere uno scambio con i prigionieri dell'Olp. Ma l'intenzione era di lasciarli tutti vivi", spiega all'ANSA Alessandro Famularo. All'epoca lui era un giovane avvocato e adesso racconta quanto Gianfranco Pagano - suo mentore e legale dei terroristi - gli aveva rivelato. "Al Molky (capo dei sequestratori ed esecutore dell'omicidio, espulso in Siria undici anni fa dopo 23 anni di carcere in Italia, ndr) confidò a Pagano che aveva perso la testa e aveva ucciso Klinghoffer perché durate uno spostamento lui lo aveva colpito con un bastone. L'omicidio non era una cosa premeditata, l'obiettivo era solo lo scambio di prigionieri e l'episodio incise sulla strategia dei terroristi. E' per questo che poi l'Olp scaricò gli imputati prendendone le distanze togliendogli l'appoggio politico", spiega Famularo.

   A confermare la tesi dello "scatto di rabbia" è anche uno dei membri dell'equipaggio, Pasquale Di Vanna, che all'epoca - appena 25enne - era terzo ufficiale di macchina dell'Achille Lauro: "mentre veniva portato assieme ad altri ostaggi nella sala della discoteca, Klinghoffer reagì male contro uno di loro e 'fu sparato'. E pensare che il giorno prima del sequestro aveva festeggiato il suo compleanno anche con quei terroristi. Non poteva sapere che erano degli assassini, perché loro erano ancora sotto copertura". Di Vanna rivela un altro particolare che smentirebbe quanto emerso al processo: "le armi non furono caricate a Genova al porto di partenza della Achille Lauro, ma ad Alessandria d'Egitto, dove la nave poi attraccò per una tappa della crociera. Ricordo che a bordo salì per poche ore una troupe televisiva con delle valigie, tirando fuori delle armi. Ci dissero che erano armi giocattolo e finsero di girare la scena di un film prima di andare via. Il comandante della nave, Gerardo De Rosa, in aula non ne ha mai parlato davanti ai giudici forse perché in qualche modo si riteneva responsabile di quella leggerezza. Ora che lui non c'è più posso dirlo".

    Un altro membro dell'equipaggio, l'allievo ufficiale di allora, Ciro Scala, a distanza di 35 anni in queste ore è alle prese con un'altra importante lotta, quella contro il Covid, ma ha la forza di raccontare la vicenda dal letto dell'ospedale: "quel momento in cui vidi un ragazzo della mia stessa età che mi puntava un mitra dicendomi di entrare in cabina, non capii subito quello che stava succedendo. Poi ci portarono in trenta nei locali macchine per far ripartire la nave. Ci muovemmo quella sera stessa e il tragitto finì a Porto Said, dove ci furono le trattative con il mediatore egiziano Abu Abbas. Qualche anno fa bussarono i carabinieri alla porta di casa e mi chiesero se avessi voluto dare il mio assenso alla grazia a uno dei terroristi. Che dovevo fare? Dissi di sì, ormai è passato troppo tempo". Un gesto che ora redime il ricordo di quell'umanità in mare e nei palazzi del potere: visti da lontano - vittime, terroristi, diplomatici, capi di Stato - in quei giorni erano tutti sulla stessa barca.

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