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Commercialisti, torna ipotesi sciopero, 'troppi adempimenti'

Assemblea alla 'Nuvola', Miani 'Agenzia Entrate cambi registro'

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ROMA - Apertura allo sciopero degli intermediari fiscali (perché non solo non sono avvenute semplificazioni, ma sono arrivati "decreti che quadruplicano gli adempimenti") e richiesta dell'introduzione di un 'equo compenso' per le prestazioni professionali che qualifichi il valore dei servizi offerti alla clientela. Sono due dei temi di maggior rilievo emersi dall'Assemblea generale dei commercialisti che si è tenuta al Centro congressi la 'Nuvola' di Massimiliano Fuksas, a Roma, occasione per il nuovo presidente del Consiglio nazionale della categoria, Massimo Miani, di sottolineare dinanzi alla platea degli iscritti e ad alcuni esponenti politici che "la questione fiscale resta centrale in negativo per il Paese, nonostante gli sforzi e i proclami". Numerosi gli esempi di "mancata semplificazione": fra questi, il 730 precompilato, "un'operazione positiva che migliorerà di anno in anno - ha detto - ma soprattutto grazie al lavoro degli intermediari che ne alimentano i dati e ai quali poi viene addossata anche l'imposta dovuta, in caso di errori, o emissioni, cosa palesemente incostituzionale, e francamente inaccettabile". Negli ultimi tempi per i commercialisti (attualmente arrivati a sfiorare quota 118.000) si è delineato un "quadro insostenibile", del quale fanno parte "l'introduzione delle comunicazioni trimestrali delle liquidazioni Iva, la quadruplicazione dei termini di presentazione dello Spesometro, l'ampliamento dello 'split payment' e la stretta sulle modalità di compensazione e di detrazione dell'Iva". I tempi possono essere, dunque, maturi per tornare a far sentire la propria voce (di protesta) all'Amministrazione finanziaria e in particolare all'Agenzia delle Entrate ("Chiediamo un cambio di registro vero e un dialogo vero. - ha puntualizzato Miani - E' necessario ripartire da zero"), rispolverando lo sciopero, iniziativa che era stata in precedenza indetta dai sindacati di categoria nel dicembre 2016 e, poi, revocata nello scorso mese di febbraio. A creare malcontento, inoltre, sono stati gli esiti di un sondaggio effettuato dalla Fondazione nazionale dei commercialisti fra oltre 3.500 iscritti, da cui si è scoperto che "il 70%" dei guadagni dei loro studi "va in fumo per i costi legati alla gestione degli adempimenti fiscali"; se le spese per sostenere gli obblighi "sono pari a 61.500 euro annui" ne deriva, si legge nel documento, che siano "solamente 12.100 gli euro realmente incassati". Un'altra battaglia che il Consiglio nazionale sta conducendo è quella per ottenere un 'equo compenso' per le prestazioni rese ai clienti, poiché "in un contesto di crisi economica, le norme a tutela della retribuzione dei professionisti assumono particolare rilevanza": l'abrogazione delle tariffe (avvenuta nel 2006, con le Liberalizzazioni dell'allora ministro dello Sviluppo economico Pier Luigi Bersani) non ha, secondo il presidente, "certamente avuto l'effetto di ampliare il mercato dei servizi professionali, quanto piuttosto di lasciare senza alcuna protezione, spesso nei confronti di clienti 'forti', una marea di professionisti". L'obiettivo, ha chiarito, "non è certo quello di reintrodurre tariffe obbligatorie, ma sicuramente parametri di riferimento, liberamente derogabili dalle parti, a cui si possa far riferimento per quantificare il valore della prestazione professionale". Una pronta risposta è arrivata dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, che ha annunciato di "aver presentato, perché venga discusso in Consiglio dei Ministri, un disegno di legge che intende porre rimedio agli squilibri nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti 'forti'. E' un modello che si può estendere a diverse professioni, ovviamente valutando attentamente le differenze e le specificità di ciascuna", ha specificato. Ad appoggiare le istanze dei commercialisti pure alcuni leader politici che hanno partecipato (con video-interviste) all'Assemblea: i numeri uno di Forza Italia e della Lega Nord Silvio Berlusconi e Matteo Salvini si sono detti favorevoli alla definizione di un giusto compenso, un "terreno", ha affermato il portavoce del Partito democratico Matteo Richetti su cui "possiamo scendere", mentre a giudizio dell'esponente del M5s Luigi Di Maio "l'equo indennizzo significa creare una concorrenza leale". Infine, il viceministro dell'Economia Luigi Casero si è definito "preoccupato" per la discesa dei redditi dei commercialisti (la Fondazione ne ha, infatti, rilevato il decremento del 14% a partire dal 2007).

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