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Addio a Kobe Bryant, leggenda dell'Nba

5 anelli Nba e 2 ori olimpici, nel pantheon dello sport

Redazione ANSA

Cinque titoli Nba, due ori olimpici e milioni di fan in tutto il mondo, ammaliati anche dal suo sorriso e dalla naturale simpatia. Kobe Bryant, detto Black Mamba, era tutto questo, un campionissimo del basket la cui scomparsa sconvolge oggi il mondo dello sport. Meglio di lui ha fatto solo Michael Jordan, che di anelli ne ha messi in bacheca sei, basta questo a far capire chi fosse quel bambino che papà Joe, a lungo giocatore in Italia, chiamò Kobe perché andava pazzo per quel tipo di carne giapponese, "di una tenerezza incredibile". Kobe amava profondamente l'Italia essendoci cresciuto: a Rieti lo ricordano ancora quando stava tutto il giorno con il pallone a spicchi in mano e attraversava la Terminillese per andare a giocare al campetto degli Stimmatini, o per accompagnare il padre agli allenamenti. Anche a Reggio Emilia lo amavano, e lì aveva ancora tanti amici.

La passione era ricambiata, perché Kobe adorava l'Italia, di cui parlava perfettamente la lingua, al punto da tornarci spesso per le vacanze: Positano e Capri le sue mete preferite e non è un caso che una delle sue quattro figlie sia stata chiamata come l'isola prediletta. Dall'Italia Kobe aveva preso anche la passione per il calcio, e infatti tifava Milan per via dell'innamoramento, rivelò una volta durante i Mondiali in Sudafrica che seguiva dal vivo e da appassionato, per la squadra di Gullit, Van Basten e Sacchi "che mi ha tanto affascinato quand'ero un ragazzino".

Sul campo non aveva rivali, al punto da essere capace di far tornare all'antica grandezza, quella dei tempi di 'Magic' e Worthy, i Los Angeles Lakers, l'unica squadra per la quale ha giocato e che lo prese quando era ancora un liceale. Sotto la guida del guru Phil Jackson, già artefice dei trionfi di Chicago, e pur non andando d'accordo con l'altra superstar Shaquille O'Neal, era riuscito a far tornare i gialloviola all'antica grandezza, allenandosi anche di notte e giocando come quando era bambino: voleva sempre la palla in mano e raramente sbagliava una mossa, come quando segnò 81 punti contro Toronto, vincendo da solo. Quando si è ritirato nel 2016 i Lakers gli hanno riservato una serata speciale e ritirato le due maglie con i numeri 8 e 24, quelli usati da Kobe, emozionatissimo quella sera, quando 'Magic' Johnson tenne a sottolineare che era proprio Byant, e non lui, il più grande nella storia del team californiano. Non aveva scalfito la sua immagine nemmeno un'accusa di stupro poi archiviata, e Los Angeles lo aveva incoronato non solo come campione sportivo: Kobe non poteva fare a meno di vincere e nel 2018, alla 90/a cerimonia degli 'Academy Awards', si era preso l'Oscar del miglior cortometraggio animato, per la versione sullo schermo della lettera con cui aveva dato l'addio alla pallacanestro, "Dear Basketball" realizzata insieme all'animatore della Disney Glen Keane. Una vera e propria dichiarazione d'amore, che ora acuisce il dolore dei tifosi di tutto il mondo.

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