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Moti aquilani: Graziosi, lapsus diabolico scatenò finimondo

'i Moti aquilani'

Moti aquilani: Graziosi, lapsus diabolico scatenò finimondo

L'AQUILA, 21 febbraio 2021, 10:50

Redazione ANSA

ANSACheck

Silvio Graziosi - RIPRODUZIONE RISERVATA

Silvio Graziosi - RIPRODUZIONE RISERVATA
Silvio Graziosi - RIPRODUZIONE RISERVATA

   Fu una vocale, una 'e' al posto di una 'o', pronunciata erroneamente dal presidente del Consiglio Regionale abruzzese Emilio Mattucci nella seduta infuocata del 26 febbraio 1971, a scatenare la rabbia degli aquilani che diedero vita alla rivolta in difesa del capoluogo? A rispondere all'interrogativo è un testimone oculare e cronista dell'epoca, responsabile della prima pagina dell'inserto de 'Il Tempo' d'Abruzzo, poi fondatore e capo Ufficio Stampa della Regione, Silvio Graziosi, 91 anni, giornalista professionista dal 1963.
    "Trascorsero circa due anni - ricorda - per mettere a punto il testo dello Statuto della Regione Abruzzo. I passi più difficili riguardarono gli articoli 1 e 2: 'L'Abruzzo è una Regione autonoma nell'unità politica della Repubblica italiana ed esercita i propri poteri e funzioni secondo i principi e nei limiti della Costituzione e secondo il presente Statuto.
    Capoluogo e sede degli organi della Regione è la città dell'Aquila. Il Consiglio e la Giunta regionali si riuniscono a L'Aquila o a Pescara'. Una 'o' disgiuntiva che fu foriera di guai".
    "Lo spazio riservato al pubblico nella sala delle riunioni - prosegue - era, come in tutte le precedenti riunioni, stracolma di pubblico e di 'campanilismo': il presidente Mattucci annunciò che nella riunione dei capigruppo era stato approvato il testo dei tanto attesi articoli 1 e 2 dello Statuto regionale già predisposti per essere approvati dal Consiglio. Mattucci cominciò il più breve e celebre suo discorso nella storia della neonata Regione Abruzzo".
    "Io ero lì, seduto davanti al tavolo riservato ai giornalisti, da dove udivo persino il respiro affannoso dei consiglieri regionali - sottolinea Graziosi - consapevoli che di lì a poco, come in effetti avvenne, si sarebbe innescata quella miccia che per una notte e due giorni mise a ferro e fuoco L'Aquila con disordini che provocarono danni, feriti, arresti; le sedi della Dc e del Pci furono date alle fiamme, come pure le case di esponenti politici".
    "Grazie alla mia frequentazione assidua degli ambienti di Palazzo Centi, sede della Presidenza del Consiglio regionale - spiega -, ero venuto a conoscenza, da una indiscrezione che il presidente Mattucci aveva trascorso l'ultima settimana a preparare il discorso di circostanza. Lo aveva riletto cinque volte, rimarcando il punto dolente del capoluogo - l'articolo 2 - che era stato risolto dalle forze politiche con un compromesso che premiava L'Aquila, ma non scontentava Pescara, riservando alla città adriatica una sorta di 'pari dignità'".
    "Quella sera del 26 febbraio 1971 - ricorda ancora Graziosi - Mattucci, nonostante le prove di lettura, incappò in un lapsus diabolico quanto nefasto. Al passaggio più atteso sbagliò una congiunzione fondamentale. Lesse: 'Il Consiglio e la Giunta regionali si riuniscono a L'Aquila e a Pescara' invece di leggere, come concordato dai capigruppo, 'a L'Aquila o a Pescara'. Quel lapsus azzerava il primato dell'Aquila. Un cerino gettato sopra una montagna di polvere da sparo. Ad accenderlo, ci pensò 'una correzione': il lapsus del professore Mattucci (insegnante di lettere e filosofia, ndr) fu corretto dal consigliere e, anche lui professore, Francesco Benucci, noto 'purista' della lingua italiana. Nel tentativo di rimettere grammaticalmente le cose a posto, Benucci gridò, alla volta del presidente Mattucci, per tre volte: 'o!', 'o!', 'o!', che per una platea già nervosamente carica suonò come un incitamento alla ribellione. E nell'aula gremita da una folla mai vista, successe il finimondo con urla e lanci di monetine verso gli spazi occupati dai consiglieri. Fu il consigliere Federico Brini, comunista, a scagliare, con atto di rabbia, una bottiglia (contenente vino o acqua?) verso l'artistico lampadario centrale del salone. Come far uscire i consiglieri regionali dal Palazzo, quella notte, fu un'avventura. Finalmente la polizia scoprì la seconda e più sicura uscita in fondo a Via S. Michele".
   

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