E' la colonia di camosci
più forte e robusta dell'Appennino, oggi conta oltre 1.500
individui in ottima salute: è quella che vive nel Parco
Nazionale della Maiella da dove, grazie a biologi e veterinari
che lavorano da anni su questo ungulato di montagna, sono
partiti gli esemplari fondatori di altre due colonie, quella del
Parco Nazionale dei Monti Sibillini e quella del Parco Regionale
Sirente Velino.
La storia di questa colonia - che segue l'iniziativa antesignana
del Parco Nazionale d'Abruzzo, unico parco che, nel dopoguerra,
conservava una popolazione di camosci ridotta al minimo - è
quella di un interessante intervento di salvataggio di una
specie a rischio, possibile grazie anche al sostegno del paese
di Lama dei Peligni (Chieti), a 700 metri di quota, che ha
contribuito alla costruzione di un'area faunistica poi divenuta
base per le operazioni di reintroduzione. E oggi, a Lama dei
Peligni, con visite guidate e tavole rotonde, il Parco
accoglierà e ricorderà tutti coloro che hanno contribuito, nel
tempo, a questa impresa, il ritorno del camoscio sulla Maiella.
Tutto iniziò nel 1991 con la Riserva Maiella Orientale, prima
ancora dell'istituzione del Parco della Maiella, poi l'avventura
proseguì, con risultati anche inaspettati, con la regia del
Parco Nazionale della Maiella: furono consolidate misure di
monitoraggio e tutela e si fece ricorso a due progetti Life
finanziati dalla Commissione Europea, l'ultimo dei quali, 'Life
Coornata', fu premiato a Bruxelles tra i migliori progetti di
conservazione europei.
L'area faunistica di Lama dei Peligni, con una superficie di
circa cinque ettari, è divisa in cinque subrecinti con diverse
tipologie di ambienti: pareti rocciose, boschi e radure,
morfologia che consente una facile osservazione degli animali. A
servizio dell'area faunistica c'è un centro veterinario.
Il camoscio appenninico, dunque, dopo 30 anni di sforzi di
conservazione, studi, attività di assistenza agli allevatori che
ne condividevano i pascoli, può ritenersi salvo, oltre che
simbolo di una sinergia che ha condotto a un successo di
conservazione che è anche successo di valorizzazione identitaria
per l'Abruzzo e le genti d'Appennino.
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