Il 4 agosto di due anni fa 2.750 tonnellate di nitrato di ammonio, lasciate incustodite per sette anni in uno degli hangar del porto di Beirut, nel cuore del centro abitato, sono esplose causando 220 uccisi, 6.500 feriti, molti dei quali menomati e sfigurati a vita. I parenti di queste vittime, riunitisi in associazione, chiedono la ripresa del lavoro degli inquirenti, guidati dal giudice Tareq Bitar.
L'inchiesta, interrotta più volte, è ferma dai primi di dicembre perché uno degli ex ministri incriminati ha presentato ricorso. La valutazione di questo ricorso, che blocca automaticamente il lavoro degli inquirenti, non è stata ancora effettuata a causa dell'assenza al Palazzo di Giustizia del giudice competente. Finora l'inchiesta ha chiamato in causa nove tra i più alti esponenti istituzionali e dei servizi di sicurezza del Libano, confermando - come era già emerso nelle settimane successive all'esplosione - che i dirigenti libanesi di alto e medio livello erano a conoscenza della presenza del nitrato di ammonio nel porto, a due passi dal centro abitato.
Un terzo della città di Beirut è stato investito e danneggiato dall'esplosione. Circa 300mila persone hanno dovuto abbandonare le loro case in seguito alla deflagrazione, considerata una delle più potenti esplosioni non nucleari della storia. (ANSAmed).
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