(ANSAmed) - ROMA - Confermata la condanna d'appello a 4 anni di reclusione per Silvio Berlusconi e rinvio alla Corte d'Appello di Milano per rideterminare l'interdizione dai pubblici uffici. Lo ha deciso la Corte di Cassazione a conclusione del processo Mediaset.
La Cassazione ha stabilito che dovra' essere rifatto un processo d'appello bis a Milano nei confronti di Berlusconi solo per rideterminare la durata dell'interdizione in base a quanto previsto dal decreto legislativo 74 del 10 marzo 2000, che ha stabilito una "nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto". Stabilisce l'art. 12 del decreto legislativo che, in caso di condanna per frode fiscale si applica, come pena accessoria, "l'interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni". I giudici di Milano, censurati sul punto dalla Cassazione, avevano, invece, applicato le disposizioni generali in materia di interdizione dai pubblici uffici (art. 28 del codice penale), le quali, tra l'altro, stabiliscono che ''la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l'interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni'', quanti ne erano stati previsti per il Cavaliere sia in primo che in secondo grado.
Un ''preciso progetto di evasione'' che si è sviluppato in ''un arco temporale molto ampio'' e con ''modalità molto sofisticate'' di cui Silvio Berlusconi sarebbe stato il 'regista' e che è proseguito dopo la sua ''discesa in campo'', anche quando era capo del Governo. E' quanto è contestato al Cavaliere nel processo sulle irregolarità nella compravendita dei diritti tv Mediaset nel quale è stato condannato in primo e secondo grado a 4 anni di carcere e a cinque di interdizione per una frode fiscale relativa al 2002 e al 2003 (per i due anni precedenti è caduta in prescrizione) che ammonta a 7,3 milioni di euro. Secondo la ricostruzione delle indagini milanesi il meccanismo alla base del presunto ''preciso progetto di evasione'' è riconducibile all'interposizione fittizia di società. Per l'accusa, in questo caso, Mediaset dichiarava l'acquisto di un determinato film da una major americana (ad esempio la Paramount Pictures) ad una certa cifra, quando in realtà il film ne costava una inferiore. Così facendo, la società faceva fuoriuscire dall'Italia la differenza di costo versata per ogni film. Una cifra che veniva peraltro iscritta a bilancio come costo della società, e quindi deducibile ai fini fiscali, mentre in realtà quelle somme sarebbero transitate all'estero su conti riconducibili a terzi. L'interposizione 'fittizia' si concretizzava nell'operato delle società intermediarie che rivendevano il film a Mediaset, le quali operavano in America acquistando i diritti dalla major, per poi dichiarare di rivenderli a Mediaset dopo una serie di compravendite fra società, che portavano al rincaro progressivo del prezzo. Tutto questo con il solo scopo di creare una serie di operazioni fittizie, di pura contabilità, che giustificassero i successivi rincari del film. L'Erario così avrebbe incassato minori imposte per effetto di 'indebita deduzione di costi fittizi' e 'maggiori quote di ammortamento fiscalmente deducibili'.(ANSAmed).