Una delle cause del basso numero è la difficoltà a cooperare con i loro Paesi di origine, spiega la Corte. Nel periodo 2015-2020, "l'Ue ha compiuto scarsi progressi nel concludere i negoziati per gli accordi di riammissione, che si sono incagliati prevalentemente in annosi problemi, primo fra tutti la clausola sui cittadini di paesi terzi", ovvero quella norma che consente il rimpatrio di persone in un Paese terzo nel quale erano transitate prima di entrare nell'Ue. I Paesi terzi tendono a opporsi a questa clausola - spiegano gli esperti - in quanto politicamente molto sensibile e non radicata nel diritto internazionale. Nella pratica, la clausola sui cittadini di Paesi terzi è applicata sporadicamente per motivi giuridici, operativi e connessi ai diritti umani.
La Corte ha inoltre constatato che i risultati dei negoziati sono stati indeboliti dalle scarse sinergie all'interno dell'Ue stessa, che non parla sempre 'con una sola voce' ai Paesi non-Ue, e la Commissione europea non si è sempre associata agli Stati membri chiave per facilitare il processo negoziale. Di conseguenza, alcuni Paesi terzi ritengono che un accordo di rimpatrio non offra alcun valore aggiunto rispetto alla cooperazione bilaterale, in particolare quando beneficiano di generosi accordi bilaterali con alcuni Stati membri. (ANSAmed).
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