In Egitto è arrivata la prima delegazione governativa turca per "discussioni esplorative" che "si concentreranno sui passi necessari che possono portare alla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi a livello bilaterale e nel contesto regionale". Una missione condotta a livello di viceministri degli Esteri, che potrebbe tradursi in un prossimo faccia a faccia tra i numeri uno della diplomazia, cui il turco Mevlut Cavusoglu si è già detto disponibile.
A preparare il terreno a queste "consultazioni politiche" è stata negli ultimi mesi una serie di mani tese. Gesti pubblici e dietro le quinte, dalla ripresa a marzo dei contatti diplomatici alla sempre maggiore pressione sui media egiziani in esilio a Istanbul: un paio di anchorman tra i più seguiti si sono fatti da parte, accettando il cambio di rotta senza troppe proteste, vista l'alternativa del carcere che li attenderebbe in patria, dove sono considerati "terroristi" come sostenitori della Fratellanza musulmana, bandita in Egitto dal 2013.
Sul tavolo del disgelo, oltre ai rapporti bilaterali, ci sono le possibili ripercussioni sugli equilibri regionali. A partire dalla Libia, dove Ankara e Il Cairo sono stati tra i maggiori sponsor militari delle parti in conflitto, ma ora si dicono pronti a sostenere il cessate il fuoco necessario alla ricostruzione. E poi c'è la partita del Mediterraneo orientale, in cui Erdogan ha fatto la voce grossa con le contestate esplorazioni energetiche, ritrovandosi però isolato contro un fronte vasto che va da Grecia e Cipro, con l'appoggio dell'Ue, a Egitto, Emirati e Israele.
Dalla pace col Cairo passa anche la cruciale distensione con i Paesi arabi del Golfo, compresa l'Arabia Saudita. Messo da parte lo scontro sull'uccisione del reporter Jamal Khashoggi, anche in questo caso Erdogan - che proprio ieri ha sentito il re Salman - punta dritto a una nuova stagione. (ANSAmed).