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Profughi, Mosul e Raqqa mai più come prima

Parlano cristiani e musulmani fuggiti in Libano da capitali Isis

05 maggio, 10:00

(dell'inviato Alberto Zanconato) (ANSAmed) - MARJAYUN (SUD DEL LIBANO), 5 MAG - Un giorno l'Isis se ne andra', ma a quel punto la Siria e l'Iraq non saranno piu' quelle di prima. Lo si capisce dalla paura e dall'odio nei discorsi dei profughi, musulmani e cristiani, arrivati dalle 'capitali' dello Stato islamico nei due Paesi, Raqqa e Mosul, e che ora sono nel Sud del Libano, vicino al confine tra Siria e Israele, da dove risuonano i colpi dell'artiglieria e dei razzi.

Lassu' sul Golan, distante una quindicina di chilometri, continua la battaglia tra il regime siriano e i gruppi islamici, compresi i qaedisti del Fronte al Nusra. Quaggiù a Marjayun, tra le colline verdeggianti per la primavera e i peschi in fiore, sopravvivono migliaia di profughi arrivati negli ultimi tre anni di guerra civile. Sono raccolti in piccoli agglomerati di baracche e di tende, suddivisi spesso per luoghi di provenienza.

In quello di Sarada vivono in 160, dalla provincia di Raqqa, nel Nord della Siria, che dal 2013 e' controllata dallo Stato islamico.

Gli uomini raccontano delle atrocita' commesse dai jihadisti, della vita di paura per chi e' rimasto. Ma poi Brahim, un uomo di circa 40 anni che funge da capo della comunita', ammette che tra quelli che non sono fuggiti ci sono appartenenti a clan tribali che si sono uniti all'Isis, che sono diventati collaborazionisti. "Quando tornero' non potro' piu' avere fiducia in loro - dice - e comunque dovranno affrontare le rappresaglie dello Stato e della gente".

Pochi chilometri a Nord, in una casa alla periferia di Marjayun, e' ospitata una famiglia cristiana irachena fuggita da Qaraqosh, vicino a Mosul. Anche loro parlano di collaborazionismo. Anzi, affermano che quando i miliziani dell'Isis sono arrivati tutta la popolazione sunnita si e' unita a loro. "Sono stati i nostri stessi vicini a saccheggiarci la casa", dice Nasser Jebbo, che con il fratello e le famiglie di entrambi e' arrivato fin qui grazie alla rete di solidarieta' delle parrocchie. "Anche se l'Isis se ne andra' - dice sua moglie - come potremo mai fidarci a tornare? Chi ci assicura che tra uno o due anni non succeda la stessa cosa? Quello che vogliamo e' solo partire. In Canada, possibilmente, perche' la' abbiamo dei parenti. Altrimenti dovunque possiamo, ma lontano dall'Iraq, per il futuro dei nostri figli, perche' per la nostra generazione ormai e' finita". E' quello che hanno gia' fatto centinaia di migliaia di cristiani iracheni fin dalla caduta di Saddam Hussein, nel 2003.

"E' da allora - dice Nasser - che la nostra vita e' cambiata. Le donne hanno dovuto cominciare a coprirsi con il velo quando uscivano di casa, e la pressione islamica cresceva. Ma non avremmo mai immaginato un'invasione come quella dell'Isis". E a chi gli chiede se si sentirebbero piu' sicuri con gli sciiti, risponde: "No, per noi sono tutti musulmani".

Gli uomini del campo di Sarada, invece, sono sunniti come l'Isis, ma sono scappati ugualmente da Raqqa e adesso, afferma Brahim, si sentono "sicuri grazie a Hezbollah", il partito di Dio sciita libanese che con le sue milizie controlla questa regione nel Sud del Libano. Ma non sono teneri con il presidente siriano Bashar al Assad, che gli Hezbollah e l'Iran aiutano nel combattere la ribellione. Uno di loro se la prende con i media occidentali, mentre, vestito con una tunica, fuma una sigaretta dopo l'altra in una piccola casamatta in muratura usata per ricevere gli ospiti. "Avete dipinto l'Isis come fosse una forza irresistibile, ma in realta' e' stato l'esercito siriano a ritirarsi senza combattere da Raqqa, perche' era d'accordo con loro".

Poi si torna a parlare di problemi pratici. Per esempio dei serpenti e degli scorpioni che tra poco, nella stagione calda, insidieranno le baracche. Dai vari campi i bambini, con lo zaino in spalla, si incamminano verso le tende bianche sparse per la piana di Marjayun dove la ong italiana Avsi organizza i corsi scolastici. E' grazie a questo programma che ben 20.000 bambini profughi siriani in tutto il Libano possono seguire le lezioni.

Ma 350.000 restano privi di istruzione, spesso mandati dalle famiglie a lavorare. Marco Perini, il responsabile di Avsi in Libano, si ferma a parlare con i bambini in cammino sotto il sole, fa visita a una scolaresca in una tenda, ricorda ai genitori che nessuno deve mancare alla lezione. E' questa generazione che forse, un giorno, riuscira' a superare le paure e gli odi. (ANSAmed).

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