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A Tutun, la Little Italy d'Egitto

Un terzo degli abitanti vive in Italia, il resto la sogna

06 agosto, 09:30

(di Hossam Rabie) (ANSAmed) - TUTUN (EGITTO), 06 AGO - Nell'agosto dell'anno scorso il 23enne Khalid ha finalmente realizzato il suo sogno di arrivare in Italia: e per tre anni, dal 2017, questo giovane del villaggio di Tutun (o Taton), 25 km a ovest della città di al-Fayyum, nell'Egitto centrale, si era preparato accuratamente.

"I miei amici in Italia mi hanno chiesto di prepararmi imparando a fare il muratore, prima di andare", ha rievocato ad ANSAmed.

Tatun è conosciuta come "Piccola Italia" perché, pur avendo solo circa 54 mila abitanti, vanta una comunità di oltre 15.000 emigrati proprio nella penisola, secondo una stime di Hussein Mohamed, un consigliere comunale della cittadina. "Circa un terzo degli abitanti del paese sono attualmente in Italia. Ogni famiglia ha almeno una o due persone dall'altra parte del Mediterraneo", ha stimato il consigliere in dichiarazioni sempre ad ANSAmed.

Sebbene Fayyum sia considerato un governatorato povero, girando per Tutun si ha un'impressione opposta, almeno secondo gli standard della provincia egiziana: palazzi meglio curati che altrove, caffè considerati di "lusso", pizzerie con nomi italiani, giovani che parlano italiano quando si incontrano per strada. Insomma qualcosa di insolito per un villaggio egiziano.

Da sempre i suoi abitanti hanno tratto il loro sostentamento dall'agricoltura: ma la crisi di questo settore a partire dai primi anni 2000, innescata dalla graduale eliminazione dei sussidi statali ai piccoli agricoltori, assieme alla voglia delle nuove generazioni di non lavorare come i loro padri ha spinto i giovani lasciare la loro terra. La rapida ricchezza ottenuta dai primi emigranti in Italia alla fine degli anni Novanta ha impresso un'ulteriore spinta a questo esodo.

Khalid (il nome è di fantasia per proteggerlo) è arrivato in Italia passando per la confinante Libia in mano a trafficanti di esseri umani e approdando a Lampedusa. Un'odissea da incubo che ha affrontato sapendo però che al suo arrivo avrebbe trovato facilmente aiuto grazie alla numerosa comunità del suo villaggio che risiede a Napoli, Roma e Milano. E infatti, in sole due settimane, ha trovato lavoro nell'edilizia e ottenuto documenti a Napoli. "Se lavorassi come mio padre, non troverei mai i soldi per sposarmi, farmi una vita e una casa", dice il giovane figlio di un agricoltore che, conscio di questa realtà, lo ha incoraggiato e aiutato ad andare in Italia vendendo parte dei suoi terreni per pagargli il viaggio.

"La mia famiglia viveva in una piccola vecchia casa", ricorda dal canto suo un 27enne che ANSAmed preferisce indicare solo come Mustafa. I nostri due vicini - aggiunge - invece si sono costruti grandi abitazioni di lusso proprio utilizzando denaro inviato dai loro figli in Italia. Era triste guardare le case dei nostri vicini e la nostra, vecchia", afferma il giovane che nel 2015 emigrò illegalmente in Italia, utilizzando i soldi di suo padre che pure lui aveva venduto parte della sua terra per finanziare il viaggio.

Dopo cinque anni di lavoro nell'edilizia a Napoli, un altro giovane di Tutun è tornato al suo villaggio. Ha comprato un grande pezzo di terra per costruire una nuova casa per la sua famiglia e per sposarsi ma ha intenzione di tornare di nuovo in Italia: "Non posso stare qui, non ci sono servizi o lavori che mi aiutino a guadagnarmi da vivere. Non c'è nemmeno un sistema fognario, nel villaggio", denuncia.

Tuttavia, la ricerca della ricchezza è costosa e nei bar si possono ascoltare storie, al limite dell'incredibile, di giovani che hanno rischiato o perso la vita per compiere il viaggio. "Ho un amico che ha visto in faccia la morte", riferisce un 19enne: "era a bordo di una barcone all'inizio del 2019 nel Mediterraneo, in rotta verso l'Italia. Un elicottero sconosciuto lanciò un grosso masso sul barcone per affondarlo con i migranti a bordo. Il mio amico si è salvato per un pelo ed è tornato traumatizzato in città. Ma, dopo alcuni mesi, ho saputo che se n'è andato di nuovo".

La veridicità dell'episodio è dubbia o quantomeno non agevolmente identificabile ma è certo che nel settembre 2016 tre giovani di Tutun sono stati tra le vittime di un naufragio che fece più di 300 morti. E che nel 2019 altri cinque altri furono uccisi da trafficanti in Libia durante un tentativo di raggiungere l'Italia. Storie che però non scoraggiano gli altri che vogliono andarsene. (ANSAmed).

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