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Domenico e il tumore al testicolo, chi combatte non può che vincere

'Come un guerriero affronti tutto con l'armatura addosso, non c'è alternativa'

Redazione ANSA

Una crocetta in più sul 'calendario' della malattia, un foglio A4 apposito nel quale aveva segnato terapie e controlli.
    Un modo per depennare ciò che era stato già fatto e sentirsi sempre più vicino al traguardo. Anche questo ha aiutato Domenico, 41 anni, a combattere la sua battaglia contro il cancro del testicolo, che lo ha colpito nel marzo 2012. Sposato da poco, felice, ha notato che però qualcosa non andava.


    "Il testicolo sinistro era strano, c'era una piccola massa sopra - racconta - sono stato in qualche modo negligente perlomeno all'inizio, un errore molto grave. Mi convincevo del fatto che tutto stesse tornando alla normalità, mi sembrava che il problema fosse più ridotto ogni giorno, fino a che non è subentrato il dolore. Sia al testicolo che all'inguine. E' stato questo il campanello di allarme che mi ha spinto ad andare dal medico". Il medico, che è anche lo zio, capisce subito che qualcosa non va. "Mi ha fatto dare subito un'ecografia e da lì analisi del sangue per i marcatori e la prenotazione dell'intervento per la rimozione del testicolo- spiega Domenico- attraverso il sistema linfonodale era stato raggiunto anche l'addome, se avessi aspettato ancora qualche settimana avrei perso il rene".  L'intervento per la rimozione del testicolo, che avviene alla presenza dello zio in sala operatoria in una clinica convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale, e' velocissimo e da lì parte anche la ricerca di un oncologo.


    Domenico approda a Milano, all'Istituto Nazionale Tumori, dove incontra il dottor Roberto Salvioni, che lui definisce "uno dei migliori che abbia mai conosciuto" . "Sapevo di poter morire, ma non ho mai avuto paura che accadesse -evidenzia- tuttavia sono entrato nello studio con un po' di cupezza, e lui in qualche modo mi ha fatto capire che no, non sarei morto. Mi ha chiesto anche che cosa ero venuto a fare, dal momento che nella mia città, Napoli, c'era una brava specialista, la dottoressa Giovanella Palmieri. È paradossale, ho dovuto girare l'Italia per tornare poi a casa". "Ho fatto al Policlinico di Napoli legato alla Federico II tre cicli di chemio detta peb, abbastanza lunghi perché ciascun ciclo durava sette giorni. Ho avuto fastidi, problemi alla somministrazione. Ricordo ad esempio che uno dei farmaci veniva coperto perché fotosensibile e io non riuscivo a vederne il livello e questo una volta mi ha creato una crisi di ansia: sono come entrato in agitazione e ho chiesto di staccare la provetta. Poi mi sono fatto coraggio e ho capito che la questione andava affrontata diversamente". Dopo la chemio è arrivata una nuova Tac, da cui è emerso che vi era una netta riduzione della massa ma rimanevano 3 centimetri.


    "Ho dovuto fare un quarto ciclo - prosegue Domenico- una cosa che per me è stata una batosta. Da una parte il fatto che sono un libero professionista mi ha salvato, non ho dovuto subire i problemi di chi è dipendente, ma non lavorare vuol dire mancata produttività e nessun fatturato, con le tasse da pagare" . "Mia moglie- sottolinea- mi è sempre stata accanto. La malattia ci ha stravolto la vita: la terapia infatti compromette la fertilità, per questo ho voluto fare la crioconservazione, ma poi la fecondazione assistita è una procedura complessa". "Mi ritengo una persona fortunata - aggiunge Domenico- perché ho avuto un tumore dal quale oggi si può guarire. La sinergia tra radio, chemio e chirurgia permette di farcela. All'interno di me c'è però una piccola parte del tumore che dorme. Ho infatti rifatto la Tac dopo il quarto ciclo di chemio e c'era ancora un piccolo residuo di un centimetro e mezzo. Successivamente, dalla Pet e' venuto fuori che il linfonodo non era attivo. Nella fase successiva di follow up rinasci da capo imparando a convivere con ansia e paura di ricadute. Ogni volta a un controllo,a una Tac, me la giocavo come se stessi in una partita di poker, aprivo le carte piano piano. Erano minuti di terrore puro".

"Ho pensato a quel punto all'idea di creare un blog sulla malattia (http://www.ktesticolo.it/), partendo dal fatto che mi occupo di informatica ed è la mia materia e dalla considerazione che più cercavo informazioni e meno le trovavo. La logica di approccio dovrebbe invece essere equivalente a quella del tumore al seno: perché alle donne viene riempita (come è giusto) la testa con autopalpazione ed esami, ma lo stesso non accade per gli uomini? La soddisfazione e anche la responsabilità è pensare che oggi chi va incontro al tumore del testicolo almeno un giro sul mio sito lo ha fatto. Il blog è legato anche a un gruppo Facebook, che riunisce 500-600 ragazzi. Non pochi per un tumore raro". Nell'ottobre 2016 è nata poi anche Aitt, Associazione italiana tumore del testicolo (http://www.associazioneitalianatumoretesticolo.it/), di cui Domenico è diventato presidente, creata per avere un 'riconoscimento giuridico', che per ora si sta inserendo nei convegni medici per dare una visione dal punto di vista del paziente, e che ha l'obiettivo di fare prevenzione a scuola, tra i ragazzi.

"Se penso al tumore - conclude Domenico- lo associo all'angoscia, perché entri mondo buio, in cui non si vede nulla, non vedi te, non riesci a vederti nel futuro. Ma è importante non essere angosciati, anche se è difficile, fastidioso, doloroso, terrorizzante. Chi combatte però non può che vincere, anche se dovesse capitare di non farcela fisicamente si è vincitori comunque. Bisogna stringere i denti e andare avanti. Tutto passa. Tornano i capelli. Per me è stata importante anche la socializzazione con chi combatteva per lo stesso obiettivo. Sembrerà paradossale, ma ho quasi nostalgia di quei giorni in ospedale non per la terapia ma perché a volte riuscivi a farti una risata. Con la malattia entri in un mondo parallelo. L'obiettivo è fare quello che ti dicono di fare, come un guerriero affronti tutto con l'armatura addosso perché non c'è alternativa".
   

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