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Oltre il bacio, l'occhio tenero e malinconico di Doisneau

Veneto

Oltre il bacio, l'occhio tenero e malinconico di Doisneau

Parigi e la banlieu, bambini e gente comune. L'omaggio a Rovigo

ROMA, 22 settembre 2021, 13:08

di Luciano Fioramonti

ANSACheck

Oltre il bacio, l 'occhio tenero e malinconico di Doisneau - RIPRODUZIONE RISERVATA

Oltre il bacio, l 'occhio tenero e malinconico di Doisneau - RIPRODUZIONE RISERVATA
Oltre il bacio, l 'occhio tenero e malinconico di Doisneau - RIPRODUZIONE RISERVATA

ROVIGO - Pescatore di momenti, cacciatore di emozioni attento alla composizione e al controllo dell'immagine come per il bacio parigino dei due innamorati tra i passanti davanti all'Hotel de Ville che sembra còlto al volo per la rivista Life e invece, si scoprì solo anni dopo, costruito con due figuranti. C'è anche quello scatto mitico del 1950 tra le 130 fotografie della mostra che Rovigo dedica fino al 30 gennaio 2022 a Robert Doisneau per raccontare il suo modo tenero e leggero di osservare il mondo.
    Il suo occhio ha puntato la vita della gente comune, le periferie della capitale, i bambini, le portinerie, i bistrot, i lavori più umili, i partigiani e la liberazione di Parigi. Le stampe ai sali d'argento e in bianco e nero scattate tra gli anni Trenta e la fine degli anni Cinquanta riunite a Palazzo Roverella a cura di Gabriel Bauret non seguono il filo cronologico, ma procedono per temi e provengono dalla collezione dell'Atelier Robert Doisneau a Montrouge dove il fotografo ha stampato e archiviato le sue immagini per oltre cinquant'anni.
    Ad accomunarle è l'intenzione dell'autore di mostrare "un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere''.
    In questa occasione si è voluti andare oltre il cliché che vuole Doisneau ironico e allegro e ironico per mostrare il suo lato più intimo e malinconico. L' artista, sottolinea il curatore, fu testimone del periodo difficile della ricostruzione dopo la prima guerra mondiale e non ebbe una infanzia felice.
    Esponente della fotografia umanista francese insieme con con Henri Cartier-Bresson, Doisneau aveva avuto il suo apprendistato da autodidatta lavorando per cinque anni nelle officine Renault e aveva imparato l'importanza della costruzione della scena nel 1931 nell'atelier del fotografo pubblicitario André Vigneau. ''La strada: è lì che bisogna andare, poiché vi si imparano molte più cose che a scuola'' era solito dire.
    Doisneau non si avvicina mai troppo ai volti e non sovraccarica l'immagine. L'effetto di libertà e di leggerezza che le sue foto comunicano, osserva Bauret, non si può ottenere, senza la pazienza di attendere anche a lungo prima che si verifichi l'evento che 'crea' l'immagine. Ma Doisneau sa inoltre creare l'illusione che scene inventate di sana pianta siano invece frutto di un incontro inatteso, per non dire del caso. Il famoso bacio, rimarca il curatore, ''è diventato una icona internazionale, un simbolo come la Gioconda, che ha fatto un po' sparire l'autore, che si è lasciato mangiare dal suo capolavoro''.
    Ad affascinare sono in particolare gli scatti dei bambini che giocano, l'allegria che li contraddistingue nella quale l'autore sembra quasi aver cercato il riscatto alla sua fanciullezza 'mogia'. Intense sono le foto sulla Liberazione di Parigi, con i soldati della Resistenza in posa - anche lui vi aveva militato - o il lancio di volantini in strada. C' è anche quella, famosa, del Riposo del militare (1944) dall'autore ritenuta anni dopo la migliore che avesse scattato. E poi c'è il tocco umoristico e ironico come nello ''Sguardo obliquo'' (1948) dell'uomo che sbircia il quadro di una donna nuda esposto su un lato di una vetrina mentre la moglie è intenta a commentare la tela davanti a loro. O ancora il Picasso, in maglia bianca a righe scure, seduto a un tavolo sul bordo del quale ci sono due pani che sembrano le sue grandi mani. ''L'opera va spesso al di là della leggerezza delle situazioni che ha potuto rappresentare o provocare - annota Bauret nel bel catalogo -. Doisneau racconta anche la dura quotidianità, mostra la miseria nella quale vivono e lavorano alcuni dei suoi contemporanei… cosa che tuttavia non gli impedisce di captare dei momenti di grazia, come un'espressione di felicità che si disegna sui volti e sui corpi''. Il suo è un modo di procedere svincolato dalle regole tradizionali che vieterebbero di intervenire sulla realtà. ''Il suo motto è disobbedire, sempre. Le sue opere sono il trionfo della fantasia, ma anche di una libertà di espressione non lontana dal surrealismo''.
    Robert Doisneau era nato nel 1912 nel sobborgo parigino di Gentilly. Si fece conoscere pubblicando sulle riviste le sue foto attraverso l'agenzia Rapho, nella quale lavorò per quasi mezzo secolo. Dopo la Liberazione, pubblicò reportage su "Vogue" e nel '49 il libro realizzato con l'amico e scrittore Blaise Cendrars, La Banlieue de Paris, il primo di una serie di lavori dedicati al tema che gli era caro. E' morto nel 1944 lasciando un'eredità di quasi 450.000 negativi. ''Le fotografie che mi interessano - spiegò - quelle che trovo riuscite, sono quelle aperte, che non raccontano una storia fino alla fine, ma lasciano allo spettatore la possibilità di fare a sua volta un pezzetto di strada insieme all'immagine, di continuarla e concluderla a proprio piacimento: una specie di trampolino del sogno".
   

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