(ANSA) - CITTA DEL VATICANO, 15 OTT - Padre Pier Luigi
Maccalli parla del rapimento, della sua lunga prigionia nel
deserto a cielo aperto, della liberazione. La sua congregazione,
la Società delle Missioni Africane, ha postato su Facebook un
lungo video con il suo racconto. "Il loro obiettivo era
convertirmi all'Islam", ha detto parlando dei rapitori che
sostanzialmente lo hanno trattato bene ma esercitavano
"soprattutto una pressione a livello psicologico".
Maccalli è stato rapito alla fine di "un giorno tranquillo,
stavo preparando la Messa per la mattina del giorno dopo, mi
sono messo il pigiama". Poi i rumori fuori dalla missione nel
villaggio del Niger dove si trovava. "Ho un servizio di farmacia
per la popolazione e ho pensato qualcuno ne avesse bisogno. Sono
uscito e ho trovato uomini armati che mi hanno circondato,
legato le mani e portato via" dopo avergli chiesto tutti i soldi
che aveva a casa. I rapitori non parlavano il gurmancè, la
lingua locale, "c'era uno solo che comprendeva qualcosa, erano
mandriani fulani".
Poi le pressioni per la conversione: "mi dicevano cose come:
'stai per morire, andrai all'inferno, devi diventare
musulmano'", nonostante un certo rispetto per il fatto che fosse
l'ostaggio anziano. "Non ho rancore contro i miei rapitori
perché non sanno quello che stanno facendo. Ci sono giovani che
sono rimasti intrappolati in questa rete, sono indottrinati".
Padre Maccalli ancora si commuove quando parla della sua
prigionia nel deserto "in mezzo al nulla, senza punti di
riferimento". Giornate lunghe le cui uniche occupazioni era
prepararsi qualcosa da mangiare e pregare "il rosario che mi ero
costruito con una piccola corda". "Ho pianto", ammette, "mi sono
sentito perduto, ho chiesto al Signore 'dove sei?'. Mi sono
arrabbiato con Dio ma sentivo che Lui era con me".
"Dal 20 maggio avevamo una piccola radio, che ci venne
offerta e abbiamo ascoltato i notiziari a Rfi, Radio Vaticana,
Bbc per sentire altri, per vedere come il mondo andava avanti,
perché la cosa più difficile era non avere contatti con il mondo
esterno".
Poi la liberazione, un lungo cammino con il cambio di mezzi,
e anche "un piatto di spaghetti" la sera alla fine di una
giornata in viaggio. Infine l'aereo militare che li ha portati a
Bamako la capitale del Mali, e poi successivamente il ritorno a
Roma accolti dalle autorità italiane.
"Continuiamo a pregare perché ci sono altri ostaggi, ho
condiviso con loro le sofferenze, è dura, è lunga, è davvero
difficile. Dobbiamo pregare Dio - conclude - perché siano forti,
perché vada tutto bene". (ANSA).