"Il termine 'radici' è
pericoloso. Porta a ragionamenti identitari, ad impoverirsi
tentando di discernere ciò che ci appartiene da ciò che non è
nostro". Ne è convinta Federica Manzon, a pordenonelegge per
presentare il suo ultimo romanzo, "Il bosco del confine"
(Aboca). "Nelle terre di confine succede che le persone, volenti
o nolenti, si mescolino: qui le identità non sono chiuse,
monolitiche, ma composte di molti frammenti" ha proseguito nel
corso del suo intervento. "Il mondo interconnesso in cui viviamo
ci ha portati a crescere con l'idea che i confini non esistano,
e dunque a considerarli unicamente con un'accezione negativa. Ma
dovremmo imparare a guardarli con occhi diversi: sono luoghi
porosi, permeabili. Permettono l'attraversamento, lo scambio e
dunque la connessione, ma sono altrettanto importanti per
custodire le differenze e le alterità che rendono uniche le
singole componenti del mondo globalizzato in cui viviamo e
preservarci dall'omologazione".
"La capacità di noi italiani e dell'occidente in generale di
comprendere l'Est Europa è poverissima: giungono a noi solo
testimonianze frammentarie che vanno a comporre una narrazione
incompleta". Due mondi geograficamente vicini, ad un passo l'uno
dall'altro, ma che sanno poco l'uno dell'altro. Ed è stato
proprio questo a stuzzicare la penna di Federica Manzon e a dare
vita al suo romanzo "Il bosco del confine" (Aboca).
Riproduzione riservata © Copyright ANSA