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Francesca La Mantia, La mia corsa

Francesca La Mantia, La mia corsa

La mafia narrata ai bambini con le storie di chi l'ha combattuta

ROMA, 03 marzo 2021, 11:01

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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(di Marzia Apice) FRANCESCA LA MANTIA, LA MIA CORSA. LA MAFIA NARRATA AI BAMBINI (Gribaudo, pp.64, 12.90 euro. Con le illustrazioni di MATTEO MANCINI). "Credo nel ricordo e nell'esempio. Per capire la nostra storia e combattere le mafie non si può santificare e andare avanti, dobbiamo ricordare chi ha fatto il proprio dovere: persone in carne e ossa, non eroi": con questo spirito Francesca La Mantia ha affrontato la sfida di raccontare la mafia ai bambini nel suo ultimo libro, dal titolo "La mia corsa", in uscita il 4 marzo con Gribaudo. Adatto a un pubblico dagli 8 anni in su e arricchito dalle illustrazioni di Matteo Mancini, il volume viene pubblicato in occasione della Giornata Nazionale della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie del 21 marzo: un progetto importante, che nasce per "far conoscere la storia di chi non si è voltato mai dall'altra parte", spiega l'autrice intervistata dall'ANSA, "non volevo parlare di santi né eroi, ma di chi ha anteposto il bene collettivo a quello individuale". Quella raccontata da "La mia corsa" è la storia del piccolo Pietro, un bambino che vive a Palermo, nella zona di Ciaculli. E' il 1983 e la città è nel pieno della guerra di mafia, con le cosche che si contendono il potere e organizzano agguati contro magistrati e forze di polizia. Pietro pensa che la mafia non sia così male e che i poliziotti diano solo fastidio alla gente, ma presto deve ricredersi: non solo perché suo padre decide non accettare i favori di un boss e di restare "libero" pur pagandone le conseguenze, ma anche perché entra in contatto con gli agenti della Squadra Mobile di Palermo impegnati ogni giorno nella lotta ai mafiosi. A fargli cambiare idea, le parole e l'esempio di due servitori dello Stato eccellenti, il giudice Rocco Chinnici e il vice questore Ninni Cassarà, che Pietro vedrà morire tragicamente, uccisi in un attentato mafioso.
    "E' facile dire 'siamo contro la mafia'. Ma la mafia non è un'entità astratta, c'è ovunque, da nord a sud, anche se non è più costretta a sparare. Quello che è certo è che l'Italia deve fare ancora i conti con la sua storia, dal Fascismo alle stragi, dal terrorismo alla trattativa Stato-mafia", dice ancora La Mantia, palermitana, classe 1985, già autrice del libro per bambini sugli anni del regime fascista "Una divisa per Nino", che si definisce "non una scrittrice, ma una cantastorie di persone normali che però hanno fatto una scelta". "Il covid ha dimostrato il fallimento di una politica individualista e neocapitalista - prosegue - Io invece voglio raccontare di una decina di uomini coraggiosi, tutti giovanissimi, perché il più grande aveva 36 anni e il più piccolo 21, che a Palermo negli anni '80 mostrarono la differenza tra bene e male e che non furono mai collusi con i mafiosi. Quei ragazzi riuscirono a capire come operava la mafia, cosa la faceva piacere alla gente, quali appoggi anche politici aveva. Compresero il sistema di guerra mafiosa, e il loro lavoro fu importantissimo anche per le indagini di Falcone e Borsellino e per il maxi processo. Furono i primi con il giudice Chinnici ad andare nelle scuole. Eppure caddero tutti, uno dopo l'altro, perché furono lasciati soli, senza essere supportati, e forse anche perché Palermo non li comprese".
    Come si narra oggi la mafia ai bambini? "Con un racconto di formazione e con il farsi delle domande, e pensando sempre che i bambini sono il nostro presente, non il futuro", afferma La Mantia. "Pietro ha una evoluzione graduale. Inizialmente entra in confusione, non capisce cos'è la mafia, cosa è bene e cosa è male", spiega, "ma lui va sempre di corsa, e mentre corre si fa domande a cui cerca risposte: poi tutto si chiarisce quando perde gli amici. Allora comprende anche cosa sia l'omertà. Ogni personaggio partecipa alla sua trasformazione. Per il libro ho incontrato i parenti degli agenti uccisi, ma non volevo santificarli, solo far capire che quei ragazzi erano persone normali, con le famiglie, gli amori, le fragilità, che però hanno scelto con coraggio il bene collettivo".
   

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