"La vera Beatrice? Si chiamava
Piccarda", titolava a tutta pagina il quotidiano nazionale La
Stampa sabato 31 gennaio 1998, riproponendo un enigma che dal
1321, anno della morte di Dante, ha dannato e diviso dantisti
d'ogni latitudine, a cominciare da Jacopo, uno dei figli
dell'Alighieri, fino al professor Marco Santagata, storico della
letteratura e curatore delle opere di Dante, da poco deceduto a
Pisa. A riproporre i dubbi sull'identità segreta della donna
amata dal Poeta, era allora un saggio della italianista Daria de
Vita. Il tema è il filo conduttore del testo "Chi era la
Beatrice di Dante?" (Scribo edizioni, pagine 178, euro 11) dal
sottotitolo "Bice Portinari, Piccarda, solo un simbolo...Quelle
bambine di Firenze maritate in culla".
Gli autori, Alfredo Scanzani e Marta Questa, sono un
giornalista ed una ricercatrice, che hanno pazientemente
ripreso, e messo a confronto, un'incredibile mole di giudizi e
di pareri espressi nei secoli dagli studiosi di maggior
spessore. Parliamo di Jacopo della Lana, Boccaccio, Francesco da
Buti, Guido da Pisa, Mino Vanni d'Arezzo, il Landino, Vellutello
di Lucca, Rossetti, De Sanctis, D'Ancona, Mazzini, Borges,
Berthier, Isidoro del Lungo, Carducci, Pascoli, Benedetto Croce.
Il breve viaggio tra quotidianità, feste, intrighi,
tradizioni, amori, curiosità, affari e politica che animavano la
Firenze della seconda metà del 1200, intende innanzitutto far
riflettere sulle reali esperienze che, convinte dall'ambiente
familiare o meno, Bice, Piccarda, Gualdrada e altre fanciulle,
nate come loro nel seno di famiglie ricchissime ed autorevoli,
erano costrette ad accettare.
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