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La chéchia tunisina simbolo di identità e tradizione

Copricapo nazionale sta vivendo una sorta di revival

04 aprile 2024, 10:35

Redazione ANSA

ANSACheck

- RIPRODUZIONE RISERVATA

(ANSAmed) - TUNISI, 04 APR - La chéchia (shāshiyya), il tradizionale copricapo tunisino, incarna secoli di storia e cultura. Realizzata con maestria artigianale, è divenuta nel tempo un'icona tangibile dell'identità tunisina, simbolo della ricchezza della tradizione locale.

La storia della chéchia si perde nella notte dei tempi.

Secondo alcuni sarebbe stata importata dalla Spagna dagli arabi andalusi, ma la tradizione attribuisce l'origine della sua fabbricazione a Kairouan, nel secondo secolo dell'Egira (VIII sec. Dc), sicuramente veniva abitualmente indossata dai funzionari dell'Impero Ottomano. La chéchia, o shashia tradizionale, è fatta di lana pettinata, lavorata a maglia dalle donne che fabbricano le calotte (kabbous). Questi berretti vengono poi inviati alla follatura: intrisi di acqua calda e di sapone e gli uomini li pigiano coi piedi per infeltrirli, a tal punto che le maglie del tessuto finiscono quasi per sparire.

Viene quindi il trattamento della pettinatura con cardi, per trasformare il feltro in un velluto lanuginoso, anche se sempre più spesso il cardo viene sostituito da una spazzola metallica.

È in questa fase della lavorazione che la shashia viene tinta del suo caratteristico rosso vermiglione. La sua forma rotonda e in molte varianti, il caratteristico pompon (kobita) sulla sommità la rendono immediatamente riconoscibile. La shashia non va confusa con il fez (detto anche chéchia stambouli), essa è morbida mentre il fez è rigido, con tronco-conico, di forma alta. Ancora oggi, la sua produzione è concentrata principalmente a Kairouan, città rinomata per le sue abilità artigianali, ma sono diverse le regioni tunisine interessate nel processo che porta alla creazione di questo copricapo. Per la filatura della lana, Djerba e Gafsa, per il lavoro a maglia, l'Ariana per la schiacciatura e il lavaggio, El Batan (nelle acque del Medjerda), per la cardatura, El Alia (origine del cardo), per il colorante: Zaghouan, per la messa a punto e forma e le finiture, Tunisi. Nel suo periodo di massimo successo gli artigiani della shashia giunsero ad occupare tre interi suq della Medina di Tunisi. Come il sefsari, il tradizionale velo femminile che ricopre l'intero corpo della donna, solitamente color crema in cotone, raso o seta, la chéchia gradualmente scomparve dal panorama tunisino.

Nel 1981 si contavano 120 produttori nel "souk des chaouchias", oggi ne sono rimasti una quarantina. Ma la chéchia non è solo un semplice copricapo, è un simbolo di orgoglio nazionale e identità culturale. A partire dagli anni Venti, per esempio, gli indipendentisti tunisini iniziarono a portare la shashia testouriyya (originaria di Testour) perché il suo nome ricordava quello del loro partito (Destour). Indossarla dunque rappresenta un legame con le radici storiche e culturali del paese, oltre a incarnare un senso di appartenenza alla comunità tunisina. E dopo la rivoluzione tunisina del 2011, la chéchia ha vissuto un vero e proprio revival. In questi ultimi anni, diventata un simbolo di orgoglio nazionale e resistenza, ha conosciuto un nuovo aumento della sua popolarità sia a livello nazionale che internazionale, venendo esportata in Algeria, Marocco e in Sudan, ma anche in Medio Oriente. Oltre ad essere indossata durante le celebrazioni e le occasioni formali, è diventata sempre più popolare anche tra i giovani come accessorio di moda, contribuendo a riaffermare la sua importanza nella cultura contemporanea tunisina. Essa rappresenta non solo un capo di abbigliamento tradizionale, ma un tesoro culturale che incarna l'identità e la storia del popolo tunisino. La sua produzione artigianale e il suo valore simbolico continuano a mantenere viva la ricca tradizione della Tunisia, rendendola una testimonianza tangibile della sua storia e della sua resilienza.

(ANSAmed).

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