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Siria: Madrid e Vienna rompono tabù, dialogo con Assad

Isis e esodo rifugiati impongono ripensamento strategia

08 settembre 2015, 19:42

Redazione ANSA

ANSACheck
(di Francesco Cerri) (ANSAmed) - MADRID, 8 SET - Dopo quattro anni di guerra, 250mila morti, infiniti assassinii, stupri, torture e altre atrocità da parte degli uomini del 'califfo' al Baghdadi, con decine di migliaia di profughi in arrivo in Europa, è giunto il momento di cambiare strategia e di parlare con Bashar a Assad? Molti analisti lo pensano, l'idea è maneggiata con precauzione in diverse cancellerie occidentali, e i governi di Madrid e Vienna ora escono allo scoperto e lo affermano apertamente. A Teheran il ministro degli esteri spagnolo José Manuel Garcia Margallo ha detto senza mezzi termini che "è giunto il momento di avviare negoziati con il regime di Bashar al Assad". Gli ha fatto eco da Dubai il collega austriaco Sebastian Kurz: "abbiamo bisogno di un approccio prammatico che includa il coinvolgimento di Assad nella lotta contro il terrore Isis". E, ha aggiunto, vanno coinvolti anche Russia e Iran, le due potenze che appoggiano Assad. Madrid e Vienna rompono cosi il tabu' della demonizzazione del presidente siriano con il quale l'Occidente, spinto dal 'asse sunnita' Turchia-Arabia Saudita-Qatar - ha rotto i ponti da quattro anni. Sull'onda delle 'primavere arabe' Assad - prometteva l'ex-amico del rais Recep Tayyip Erdogan, allora premier e oggi presidente islamico turco - sarebbe caduto rapidamente, rovesciato dai ribelli 'democratici' sunniti, presentati come eredi dei manifestanti per la libertà di Damasco.

Il progetto di Ankara, Doha e Ryad era di sostituirlo con un governo islamico sunnita dei Fratelli Musulmani. Ma le cose sono andate diversamente. Il regime autoritario dell'alevita Assad non è caduto, mantenendo anzi dosi di consenso interno in particolare fra le minoranze (sciiti, aleviti, cristiani, yazidi). E i ribelli 'democratici' sono confluiti per lo più nei gruppi jihadisti, in primis Isis e Al Nusra-Al Qaida. L'espansione del 'califfato', con le sue atrocità, è diventata una minaccia esistenziale non solo per Siria e Iraq, ma per tutto il Medio Oriente, dalla Turchia allo Yemen, per il Nord Africa, dalla Libia al Mali, e ora per l'Europa. Il rischio attentati è alto, senza parlare degli effetti destabilizzanti dell'esodo biblico di decine di migliaia di disperati. "Scappano non dal regime di Assad ma dalle atrocità dell'Isis" rileva Vladimir Putin. Per gli Usa che da un anno bombardano i jihadisti in Iraq e Siria il nemico già non è più Assad ma Al Baghdadi. A lungo accusati di aiutare i jihadisti, anche Turchia e Arabia Saudita, ora minacciate dall'Isis, hanno aderito alla Coalizione. E la crisi dei rifugiati spinge Parigi e Londra a prevedere bombardamenti anti-Isis in Siria, che finora escludevano per non puntellare il regime. "La questione della partenza di Assad sarà posta prima o poi", ha glissato ieri Francois Hollande. Putin afferma che il rais è pronto a fare concessioni, ad aprire il governo "all'opposizione sana", cioè non jihadista, a indire elezioni. "L'accordo nucleare con Teheran, avverte il ministro degli esteri svizzero Didier Burkhalter, sta cambiando radicalmente la partita". L'Iran è ridiventato un interlocutore chiave, e con il peso di un enorme mercato per l'Occidente. Ma se una trattativa di pace sembra possibile con Damasco, i precedenti tentativi hanno dimostrato che con l'Isis è impossibile, e impensabile. Una soluzione militare - e la distruzione del 'califfato' - ha bisogno di tutti: degli aerei della Coalizione, delle milizie curde e sciite, le sole che per ora combattano a terra contro i jihadisti ... con l'esercito di Damasco. "Non possiamo dimenticare i crimini di Assad, rileva Kurz, ma neanche che in questa guerra siamo dalla stessa parte". (ANSAmed).

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