(di Michele Monni)
(ANSAmed) - RAMALLAH, 22 FEB - L'ondata di violenze in corso
nei Territori negli ultimi mesi ha evidenziato un fenomeno
particolare: la partecipazione in prima persona di adolescenti,
nati e cresciuti ben dopo gli accordi di Oslo fra Israele e Olp
(1993). La crisi che essi attraversano attira ora la attenzione
di specialisti di varie discipline. ''In ogni società, i giovani
e soprattutto gli adolescenti, hanno reazioni impulsive e
'borderline' alle problematiche della vita. Tra i palestinesi,
questo è ancora più accentuato se si considerano la mancanza di
posti di lavoro, i problemi sociali, le umiliazioni e la
mancanza di speranza create dall'occupazione israeliana" ha
spiegato all' Ansa Cristina Carreño Glaría, coordinatrice del
dipartimento di salute mentale di Medicine Sans Frontiere (MSF)
a Gerusalemme.
Secondo la psicologa - che cita un rapporto del 2012 - il
conflitto israelo-palestinese e la conseguente esposizione a un
contesto violento, impatta negativamente su bambini e
adolescenti sia israeliani sia palestinesi, con l'8% dei giovani
israeliani e quasi il 70% di quelli palestinesi che soffrono da
disturbi post traumatici da stress (DPTS).
Le motivazioni che spingono i giovani palestinesi a compiere
attacchi sono difficili da categorizzare e possono essere il
frutto "di drammi personali, convinzioni politiche, di un
generale senso di frustrazione e soprattutto dalla estrema
polarizzazione emotiva e psicologica tipica della condizione
adolescenziale" ha aggiunto Carreño.
Frustrazione; mancanza di prospettive; disperazione; e il
"non aver nulla da perdere" sono tra le cause indicate peraltro
anche da esponenti degli apparati di sicurezza israeliani, come
il capo dell'intelligence militare Gen. Herzi Halevi e il capo
di Stato Maggiore Gadi Eizenkot. Hanno suggerito fra l'altro,
come riportato da Haaretz, un "approccio meno aggressivo" alle
violenze, e hanno sottolineato "l'importanza del coordinamento
alla sicurezza con l'Autorità palestinese" (Anp), divergendo
cosi' dal parere di alcuni ministri del governo di Benyamin
Netanyahu.
Altri collegano la rabbia che serpeggia nella 'generazione di
Oslo' anche a quello che a quei giovani sembra un fallimento
sostanziale della politica del presidente Abu Mazen. Un
malcontento dimostrato da numerosi sondaggi in cui vengono
invocate le sue dimissioni e la indizione di nuove elezioni.
''Ad aumentare la rabbia e la frustrazione'' vi e' anche,
ricorda la psicologa di Msf, il costante flusso di immagini e di
video violenti che invadono i social networks e i siti di
informazione locali. Sono necessari per tenersi informati, ma
non fanno altro che alimentare altra violenza: ''E' come
continuare a riempire un bicchiere: prima o poi l'acqua
trabocca, con le conseguenze tragiche che vediamo ogni giorno".
(ANSAmed).
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