(di Luciana Borsatti)
(ANSAmed) - ROMA, 27 SET - "Viviamo tutti sotto lo stesso
sole, ma il sole è cambiato". Moussa è un contadino nel Sahel,
costretto dalla siccità ad abbandonare tutto e trasferirsi con
la famiglia in città, con pochi soldi e nessuna certezza. La sua
storia la raccontano Grammenos Mastrojeni ed Antonello Pasini
(un diplomatico ed un climatologo) in un passaggio di 'Effetto
serra effetto guerra" (Chiarelettere, 170 pagine, 15 euro), per
esemplificare il dramma di intere popolazioni esposte ai
cambiamenti climatici ed ai conseguenti fenomeni migratori, ma
anche, sottolineano, "più facilmente ai richiami del terrorismo
e del fanatismo". Perché la scarsezza di raccolti e di risorse
"cambia anche gli uomini", li porta a competere per quel poco
che c'è, e non solo. "Da quando erano arrivate le bande
religiose - racconta Moussa - i pastori andavano sempre di più
con loro, e si capiva: non avevano più nulla da mangiare; con le
bande era pericoloso, ma almeno con il mitra sotto braccio e il
nome di Allah si prendevano quello che volevano, 'anche mia
figlia'".
Siccità, scarsità di risorse, instabilità sociale, fanatismo,
migrazioni e guerre. Sono 79 nel mondo - scrivono gli autori - i
conflitti per i quali una recente ricerca, commissionata dal G7,
ha individuato cause climatiche. Le quali non solo sconvolgono
la vita delle popolazioni colpite ma hanno dirette conseguenze
anche sui loro equilibri economici, sociali e politici e mettono
in pericolo i diritti umani: dal cattivo raccolto che impedirà
ad una bambina di continuare la scuola al venir meno della
coesione delle comunità fino agli orrori del traffico degli
esseri umani.
Secondo uno studio delle Nazioni Unite vi è nella sola Africa
il potenziale per un movimento forzato di circa 70 milioni di
persone da qui al 2030, mentre nel 2050 si potrebbe arrivare a
200 milioni di migranti climatici nel mondo. Anche i disastri
naturali - nell'80% dei casi collegati al clima - hanno spinto
dal 2008 una media di 26,4 milioni di persone all'anno a
migrare. Dal Sahel al Polo, dalla Maldive al Kirgizistan ed
all'Egitto: il cambiamento climatico ha dimensioni globali e
così le sue ripercussioni, che coinvolgono anche l'Occidente
avanzato.
E in particolare coinvolgono la regione del Mediterraneo, un
"punto caldo/critico" dove si attendono cambiamenti più forti
che altrove. Già se ne vedono gli effetti in termini di
migrazioni, ma fermarle con i muri non serve, sostengono
Mastrojeni e Pasini: se anche si facesse in modo che i Paesi
nordafricani e mediorientali se li 'tenessero' questi migranti,
a costo di sacrificare i diritti umani, "nella compressione dei
diritti e del benessere si annidano i germi dell'estremismo e
del terrorismo", rivolti anche verso l'esterno. E l'italia si
trova, geograficamente, nella condizione più esposta ad un già
"nefasto mix di conflittualità, fanatismi, traffici e
migrazioni".
La sfida per l'Italia sta dunque, sostengono gli autori, nel
trasformare questa crisi in una grande opportunità, che
trasformi l'effetto serra in "effetto pace". Invece di costruire
muri, che non fermano ma aumentano la pressione migratoria e ci
privano dei benefici economici delle immigrazioni, "proviamo a
soppesare i costi di un'ampia politica di soccorso in Africa",
suggeriscono Mastrojeni e Pasini, che punti in primo luogo sui
giovani e sul recupero della fertilità della terra, con una
gestione equa e cooperativa dei territori affinchè possano
"continuare a sfamare i popoli e dare una speranza per il futuro
anche in un clima che cambia".
Se invece lasciamo i più poveri da soli di fronte ai
cambiamenti climatici, avvertono, "lasciamo anche crescere un
bubbone di conflittualità che prima o poi raggiungerà pure noi".
(ANSAmed).
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