(di Diego Minuti) (ANSAmed) - ROMA - La sicurezza (o la percezione che si ha di essa) è uno dei punti fermi delle strategie degli investitori stranieri, che, prima di portare in giro per il mondo i loro denari, vogliono essere tranquilli che niente potrà essere di nocumento alla loro iniziativa. Lo sa bene la Tunisia che aveva i suoi problemi con la sicurezza ben prima della strage al museo del Bardo e che ha visto allargarsi la platea degli investitori stranieri che rivolgono altrove la loro attenzione, cioè ad altri Paesi, anche del Maghreb, che offrono maggiori garanzie. Il processo sembra avanzare lentamente, ma con segnali inequivocabili, come quelli che vengono dalla quarta edizione del Salone internazionale del partenariato industriale (a Tunisi, da 10 al 13 giugno, nell'area espositiva del Kram).
Alla rassegna, come reso noto dal presidente della Camera di Commercio e Industria di Tunisi, Mounir Mouakher, parteciperanno 25 espositori stranieri. Ma, per come ha ammesso lo stesso Mouakher, sarebbe forse meglio dire ''appena'' 25 espositori stranieri, in netto calo rispetto alle precedenti edizioni.
Né il parterre degli espositori, in termini di provenienza, induce all'ottimismo per il futuro trattandosi di presenze abbastanza tradizionali (Francia, Germania, Italia, Turchia) o da Paesi che non possono certo contribuire fattivamente alla ripresa economica (Giordania, Iraq, Pakistan, Marocco, Algeria).
LO stesso slogan scelto per la rassegna (''Lavoriamo per il futuro'') non sembra avere avuto l'auspicato appeal tra gli imprenditori stranieri che saranno presenti a Tunisi forse più per cercare di vendere che per trovare occasioni per insediarsi nei gangli produttivi dell'economia tunisina. I campi scelti per il salore sono quelli tradizionali: industrie meccaniche, elettriche elettroniche, logistica, energie rinnovabili e ambiente. Ma il punto resta un altro, le difficoltà che affliggono la Tunisia nel risolvere i suoi problemi con la sicurezza e, quindi, nel ridiventare polo d'attrazione per gli investitori stranieri che, se trovano salari molto contenuti e bassa conflittualità sindacale, non possono prescindere dalla certezza di lavorare senza paure. La Tunisia del dopo Ben Ali ha già vissuto un momento simile, conseguenza del caos derivato dalla caduta del regime e dallo scatenarsi di violenze sociali cui si pose fine grazie anche alla ragionevolezza di una parte importante dei sindacati (come l'Ugtt) che riuscì a fare metabolizzare ai lavoratori che le proteste erano praticabili solo se non portavano alla chiusura degli stabilimenti ed all'azzeramento dell'occupazione. (ANSAmed).
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