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Migranti: stop Ong, ferme anche Sea Eye e Save Children

Ong, è quel che vuole Ue. Rischio più morti. Libia blinda suo mare

ROMA, 14 agosto 2017, 11:07

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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ROMA - Dopo Medici Senza Frontiere, anche le ng Sea Eye e Save the Children fermano le navi impegnate davanti alla Libia nel soccorso ai migranti: non ci sono le condizioni di sicurezza per andare avanti e non può di conseguenza essere garantita l'efficacia delle operazioni.

In meno di 24 ore, dunque, lasciano - almeno temporaneamente - tre delle otto Ong che negli ultimi 20 mesi non hanno mai abbandonato le acque internazionali davanti ai porti libici, salvando migliaia di migranti: 46.796 persone nel 2016, circa 38% del totale di quelle sbarcate; 12.646 nei primi quattro mesi del 2017, vale a dire il 35% del totale. Considerando inoltre che la Juventa - la nave della Ong Jugend Retted - è sotto sequestro a Trapani e che le imbarcazioni di Proactiva Open Arms, Seawatch e Moas sono attualmente in porto a La Valletta, a fare attività di ricerca e soccorso davanti alla Libia in questo momento c'è rimasta soltanto nave Aquarius di Sos Mediterranee.

Quella delle Ong è però una 'ritirata' piena di accuse: alla Libia, innanzitutto, per le minacce subite dalla Guardia Costiera e per l'annuncio di Tripoli di voler creare una zona di ricerca e soccorso (Sar) molto più ampia delle acque territoriali, nella quale sarà possibile entrare solo dopo aver avuto l'autorizzazione delle autorità libiche. Ma anche all'Italia e all'Europa, "corresponsabili" e "complici" del blocco che si sta creando e che, dicono, "contribuirà ad aumentare i morti nel Mediterraneo". "Questo è quello che vuole l'Europa" ha scritto il fondatore di Proactiva, Oscar Campos.

I primi ad annunciare la decisione di fermarsi, sono stati quelli di Sea Eye. "Cari amici - ha scritto il direttore della Ong Michael Buschheuer - in queste condizioni non è possibile proseguire il nostro lavoro di salvataggio, sarebbe irresponsabile nei confronti dei nostri equipaggi". Il motivo, appunto, è l'annuncio del governo libico sulla Sar Zone e la "minaccia esplicita alle Ong private". Poco dopo è arrivata la comunicazione di Save the Children. "Siamo rammaricati ma dobbiamo fermarci - dice l'organizzazione - Siamo di fronte ad una situazione molto preoccupante per lo staff e per la reale capacità della nave di mettere in atto la propria missione di soccorso". Save the children, assicura il direttore delle operazioni Rob MacGillivray, "è pronta a riprendere le operazioni. Ma prima dobbiamo avere rassicurazioni sulla sicurezza degli equipaggi e sull'efficacia delle operazioni".

E come già ieri aveva fatto Msf, anche Save the Children sottolinea che l'assenza delle navi umanitarie produrrà nuove morti nel Mediterraneo e che riportare i migranti in Libia significa consegnarli a chi non rispetta i diritti umani. "Ciò che è chiaro è che molte vite potrebbero essere messe in pericolo" ribadisce MacGillivray, che poi aggiunge: "le tantissime testimonianze che abbiamo raccolto da bambini e ragazzi parlano di violenze e abusi gravissimi subite anche dai bambini e dalle bambine più piccole. Preoccupa fortemente il fatto che migliaia di persone possano rimanere nei centri di detenzione libici". Save the Children si dice anche pronta a valutare la possibilità di operare in Libia, "qualora vi siano le giuste condizioni di rispetto dei diritti umani".

Chi non ha ancora abbandonato è invece Sos Mediterranee. L'Aquarius si trova davanti a Tripoli e per tutto il giorno ha avuto vicino la C-Star, la nave anti migranti di Defend Europe.

"Oltre a salvare vite, la nostra priorità è garantire la massima sicurezza del nostro equipaggio - dice la Ong - Fino a che questa continua ad essere garantita, rimarremo in zona, salvando imbarcazioni in pericolo e prevenendo il ritorno forzato delle persone soccorse in Libia". In ogni caso "limitare l'accesso e le attività delle Ong causerà, ancora una volta, un incremento di morti e sofferenza nel Mediterraneo".

E intanto la decisione delle Ong di fermarsi rischia di spaccare nuovamente il Pd e la sinistra. "Il nostro governo - dice il coordinatore di Si Nicola Fratorianni - è complice di una grande tragedia e questo è inaccettabile". "L'obiettivo, che purtroppo si sta realizzando - aggiunge il capogruppo al Senato Loredana De Petris - è cacciare le Ong in modo che nessuno può controllare il comportamento della Guardia Costiera libica".

 

La Libia difende la sovranità e blinda il suo mare. Dalla Sar agli spari contro le navi, la tensione con le Ong
 

Zona di controllo marittimo esclusivo, avvertimenti minacciosi alle imbarcazioni straniere che prestano soccorsi ai migranti: così la Libia sta blindando sempre di più il suo mare, riaffermando il primato della sovranità nazionale, ma provocando allo stesso tempo l'interruzione dell'attività di diverse ong. Proprio in nome della sovranità nazionale sono scattate le prime frizioni con l'Italia, alimentate dalla contesa per il potere tra le varie anime della Libia.

Così, quando il premier del governo di Tripoli Fayez Sarraj ha chiesto a Roma un sostegno navale per pattugliare le coste libiche, per contrastare il traffico di esseri umani, dalla sponda opposta di Tobruk il generale Khalifa Haftar ha minacciato azioni militari contro le navi italiane. Salvo poi precisare che non ci sarà alcun attacco, ma rivendicando comunque il diritto a chiedere l'autorizzazione ai libici per qualunque intervento nei propri territori, marittimi e non.

Nei giorni scorsi, poi, Tripoli ha annunciato la creazione di una zona di ricerca e salvataggio (Sar) - che arriva fino a 190 miglia nautiche dalla costa - interdetta alle ong senza l'autorizzazione delle autorità libiche. Tale decisione ha di fatto avviato un progressivo disimpegno delle stesse ong dalle attività di soccorso in mare dei migranti, a partire da Medici Senza Frontiere, Sea Eye e Save the Children.

Le ong sono preoccupate soprattutto per la situazione della sicurezza nelle acque davanti a Sabratha, Zuwara, Zawiyah, come dimostrano i colpi d'avvertimento sparati qualche giorno fa da una motovedetta della Guardia Costiera libica verso una nave della Ong spagnola Proactiva Open Arms. Oltre alle minacce di non tornare rivolte agli equipaggi della stessa Proactiva e della Sea Eye.

La Marina libica - che risponde al governo Sarraj - ha difeso la propria iniziativa, affermando che le ong arrivano fino a 10 miglia nautiche dalla costa, quindi in acque territoriali, ma nessuno è stato mai arrestato. I libici stessi hanno ammesso che l'area della Sar è molto grande e al momento non hanno la capacità di gestirla da soli, quindi non hanno posto ostacoli al sostegno esterno. A patto, però, che ci sia un'autorizzazione, perché le ong "non possono operare al di sopra della legge".

Nel frattempo, Tripoli - firmataria della convenzione Onu per il diritto del mare, che fissa le zone di influenza dei singoli Paesi - va per la sua strada. Ed ha avviato la notifica per l'attivazione della Sar all'organo competente, ossia l'Organizzazione marittima internazionale.

Mentre Haftar, che governa l'altra metà del paese, ha assicurato che con 20 miliardi dell'Ue nei prossimi 25 anni sarebbe in grado di chiudere i confini meridionali della Libia e fermare i flussi, come ha fatto Erdogan in Turchia. Così, entrambe le sponde del potere libico cercano di accreditare il Paese come attore regionale forte e influente, dopo tutti questi anni di caos post-Gheddafi. 

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