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Fenomenologia di Diabolik , dal fumetto al film, tutto sull'antieroe genio del male

Fenomenologia di Diabolik , dal fumetto al film, tutto sull'antieroe genio del male

E' stato specchio del Nord Italia in nero degli anni '60, originale, inquietante, decisamente cult

11 dicembre 2021, 20:09

di Alessandra Magliaro

ANSACheck

Diabolik - occhi -Diabolik Astorina srl - RIPRODUZIONE RISERVATA

Diabolik - occhi -Diabolik Astorina srl - RIPRODUZIONE RISERVATA
Diabolik - occhi -Diabolik Astorina srl - RIPRODUZIONE RISERVATA

Diabolik, il genio del male nato dal talento delle sorelle Giussani, incarna molte anime e il suo personaggio dal fumetto arriva al grande schermo con il nuovo atteso film dei fratelli Manetti (in sala dal 16 dicembre con Luca Marinelli e Miriam Leone e Valerio Mastandrea). Intanto una mostra evento a Torino Diabolik alla Mole, (Museo Nazionale del Cinema, Mole Antonelliana 16 dicembre 2021 - 14 febbraio 2022 a cura di Luca Beatrice, Domenico De Gaetano e Luigi Mascheroni, ricco catalogo Silvana Editoriale) consente di ricordare in grande stile, un personaggio davvero 'pop' che è nel dna culturale italiano a partire dagli anni '60, con rimandi continui ad alcuni momenti della storia del nostro Paese. Visitando la mostra, sottolinea Enzo Ghigo presidente del museo del cinema, oggetti di design e opere d’arte icone inconfondibili di un’epoca ci propongono una rilettura entusiasmante, con oggetti di scena, le tavole dei fumetti, le esperienze VR in collaborazione con Rai Cinema e l’auto di Diabolik, la celebre Jaguar E-Type. Quest'ultima è davvero un personaggio: Diabolik, lo spietato con gli occhi di ghiaccio, elegantissimo rapinatore solitario, insaziabile predatore di fantasmagorici gioielli e collezioni, è assistito nel compiere i suoi pianificatissimi colpi dalla sua straordinaria Jaguar nera. Nera lucida come la sua ‘divisa’, una seconda pelle - sottolinea Benedetto Camerana, presidente Mauto - Museo nazionale dell'automobile di Torino - indossata per nascondersi nel buio delle notti, teatro dei suoi furti più geniali e tecnologici. Compiuti con quest’auto super performante, che porta l’eroe nero a far perdere (quasi) sempre le sue tracce alla fine di inseguimenti rocamboleschi e furibondi tra Ghenf e Clerville da parte delle forze del bene, una polizia guidata dal flemmatico e sempre perdente commissario Ginko, che rincorre Diabolik al volante della sua DS (quando sono le auto a costruire i personaggi). E chi sarebbe la terza leggenda? È Eva Kant che, anche lei avvolta nella tutina nera, è quasi sempre il fattore determinante per la salvezza del suo Diabolik, amato complice.
Il nome del personaggio: con una grafia diversa nel finale – Diabolich – quasi cinque anni prima aveva popolato per mesi le cronache nere dei quotidiani grazie al caso di un feroce omicidio a Torino. Un Diabolich vero, prima di quello fumettistico, un omicida che nella sua lucida follia a sua volta si era rifatto al protagonista di un romanzo giallo: Diabolic, stavolta senza “h”. Dopo il caso di cronaca di “Diabolich”, l’editore Boselli ripubblica il giallo Uccidevano di notte di Bill Skyline nella collana I Romanzi della Notte cambiando il titolo in Diabolic: uccidevano di notte e con il vero nome dell’autore: Italo Fasan.
Il primo fumetto, esce il 1 novembre del 1962 nelle edicole italiane. Titolo evocativo: Il Re dek Terrore, sottotitolo, “Il fumetto del brivido”. Le sorelle Angela e Luciana Giussani, creatrici del personaggio, avevano ideato un formato adatto alla lettura in treno, calibrato per le migliaia di pendolari che ogni giorno arrivavano a Milano. "Già alla fine del 1963 Diabolik è parte dell’immaginario collettivo degli italiani: è l’antieroe cinico e vagamente inquietante che permette di uscire da un macrocosmo perbenista e puritano, inseguendo metaforicamente un’affermazione personale in cui conta solo il soddisfacimento del proprio piacere. Un inafferrabile criminale e spietato assassino in linea dunque con una moralità nuova, che lascia da parte le remore dell’immediato dopoguerra e le preoccupazioni di ordine morale", dice Domenico De Gaetano. Il passaggio di Diabolik dalla carta stampata alla pellicola cinematografica non è diretto e immediato. Si tratta, anzi, di un percorso per certi versi accidentato, che lascia quasi sorpresi e un po’ disorientati, sottolinea De Gaetano, se si pensa alla formidabile “carriera” che il personaggio inventato dalle Giussani ha avuto nel corso dei decenni, attraversando non solo la storia del fumetto – e di fatto inventando un genere, quello del fumetto nero italiano, che avrà moltissimi epigoni – ma anche quella del costume.
Ecco così i tentativi cinematografici: Kriminal nel 1966 diretto da Umberto Lenzi (che avrebbe voluto realizzare proprio un film ispirato al personaggio delle sorelle Giussani ma non riuscì a ottenere i diritti), seguito dal sequel Il marchio di Kriminal diretto nel 1968 da Fernando Cerchio, e infine da Satanik, protagonista femminile del fumetto nero italiano, portata sullo schermo nel 1968 dal regista Piero Vivarelli, che affida il ruolo eponimo alla modella e attrice polacca Magda Konopka. In realtà, il primo progetto di un film tratto dai fumetti di Diabolik prende l’avvio quasi subito, nel 1965, quando il produttore Tonino Cervi acquista i diritti di trasposizione cinematografica per poter sfruttare il clamoroso successo che le avventure del criminale mascherato hanno presso il pubblico italiano. L’intenzione di Cervi è di affidare la regia all’inglese Seth Holt, come interpreti principali del film, si vocifera di preferenze per Alain Delon e Virna Lisi, ma alla fine vengono scelti l’attore francese Jean Sorel e la conturbante Elsa Martinelli, che proprio nel 1965 aveva recitato nel “fumettistico e pop” La decima vittima di Elio Petri. Dopo alcune settimane di riprese, la lavorazione del film fu so - spesa, il progetto non si concretizzò e i diritti vennero rilevati da Dino De Laurentiis. Nulla rimane di questa avventura cinematografica se non un set fotografico conservato al Museo Nazionale del Cinema. Finalmente nel 1968 Diabolik ha la sua trasposizione cinematografica. L’autore è Mario Bava, un autentico mago degli effetti speciali (La maschera del demonio (1960), il più importante horror gotico italiano con l’icona Barbara Steele, e il primo thriller all’italiana La ragazza che sapeva troppo (1963)). Per il ruolo di Diabolik viene scelto il californiano John Phillip Law. Per il ruolo di Eva Kant si pensa a Catherine Deneuve, reduce dal successo di Bella di giorno (1967) di Luis Buñuel, ma Bava non è affatto convinto dell’attrice francese, la quale peraltro opporrebbe delle riserve a girare scene di nudo. La scelta ricade dunque su Marisa Mell. Il risultato non piace praticamente a nessuno produttore, Giussani, regista. 50 anni dopo ecco il progetto dei Manetti, fan del fumetto. Il film, prodotto da loro e Carlo Macchitella con la Mompracem con Rai Cinema in associazione con la casa editrice Astorina, detentrice dei diritti ed editore della serie a 
fumetti di Diabolik, e Luigi de Vecchi e distribuito da 01 distribution. 
Eva Kant. Entra in scena già nel terzo episodio della serie e subito segna la differenza dalle classiche figure femminili dei fumetti… e non solo. Invece di mettersi nei guai così che l’eroe (o l’antieroe, in questo caso) di turno possa mostrare la sua virile capacità di risolvere le situazioni difficili, qui è lei a salvare Diabolik dalla ghigliottina. In seguito lo affiancherà nelle sue imprese criminali con pari dignità professionale. Nelle tavole dei fumetti, nella casa della coppia criminale tanti gli oggetti cult del design italiano degli anni '70. La passione per il design la attribuiamo a Eva che dissemina nelle storie arredi come la Lounge Chair and Ottoman di Charles e Ray Eames, la Chaise Longue LC4 di Le Corbusier, tavolo e sedie Tulip di Eero Saarinen, e mette attenzione particolare nell’illuminotecnica, sapendo che la luce è fondamentale nelle case contemporanee. Grande risalto alla Lampada Taccia di Achille e Pier Giacomo Castiglioni prodotta da Flos a partire dal 1962, oggetto super-iconico nella miglior stagione del design radicale, che infatti assurge all’attenzione internazionale nella mostra Italy: the New Domestic Landscape, allestita al MoMA New York nel 1972. L’arte, insieme al design, rappresenta nei primi anni sessanta la possibilità di quell’upgrade sociale e culturale della piccola e media borghesia per accedere a un mondo che prima era appannaggio solo di ristrette classi. Seppur criminali, Diabolik ed Eva sono esponenti di una nuova borghesia agiata che ama le cose belle.

“Diabolik, chi sei?” Un antieroe, un criminale per cui si parteggia, un personaggio ambiguo: feroce e dignitoso, un Mistero, un ladro inafferrabile, uno dei più celebri fumetti italiani di sempre, un fenomeno editoriale, giornalistico, sociale e culturale.
Tra cronaca di ieri e miti d’oggi. Il giornalista Luigi Mascheroni tra i curatori della mostra di Torino racconta il contesto italiano di Diabolik. Debutta un nebbioso e grigio inizio di novembre del 1962, un mese dopo lo schianto di Enrico Mattei nelle campagne di Bascapè, uno prima del collaudo della Linea 1 della metropolitana milanese e pochi mesi dopo la rivolta operaia di piazza Statuto a Torino. Un fumetto rivoluzionario e ribelle, inventato dalle borghesi sorelle Giussani, destinato negli anni a diventare conservatore e corretto, come il suo protagonista, capobanda di una lunga serie di “eroi in nero”, tutti marchiati nel nome con una rigorosa K, da Kriminal a Satanik, che hanno terrificato una felicissima stagione fumettistica, e non solo. Il primo numero di Diabolik – titolo: Il Re del terrore – esce nelle edicole in poche migliaia di copie, di fatto solo nel Nord del Paese, Milano e Torino soprattutto, e quasi soltanto nelle stazioni ferroviarie. Atmosfere nere e formato tascabile, è la lettura perfetta per i pendolari che nei primi anni sessanta affollano i treni locali e interregionali. Da lì il genio del male inventato da due ragazze della Milano bene, conquista prima migliaia, poi milioni di lettori, diventando un simbolo sia del noir sia dei coloratissimi Sixties all’italiana. Storie in bianco e nero, copertine pop, optical, psichedelia, design all’avanguardia: tutti i colori del nero. Era nato per essere letto in treno dai pendolari e sotto il banco dagli studenti: si è trasformato in una multicolore icona popolare. Dice MascheroniDiabolik è uno straordinario caso sociale, editoriale, imprenditoriale a cavallo tra - da una parte - l’Italia del boom economico, della grande trasformazione, del benessere e della cultura, dei mutamenti della mentalità e del costume, delle città che diventano metropoli, delle opportunità e del miracolo e – dall’altra – dell’Italia del desiderio, inquietante e oscura, che vuole emanciparsi, arricchirsi, possedere, l’Italia di un modello diverso di donna, elegante e irriverente, di nuove abitudini e nuovi vizi, un Paese che, trasformandosi da agricolo a uno tra i più industrializzati del mondo, conosce imponenti flussi di migrazioni interne, conflitti sociali, diseguaglianze economiche e un forte aumento della criminalità: furti, traffico di stupefacenti, rapine e omicidi… Eccola, l’Italia in nero. Il grande Nord ricco, brumoso, bramoso, peccaminoso. È il Nord che ha due capitali.
Torino, la città più misteriosa d’Italia, magica, diabolica e nera, “una giungla composta da ladri, rapinatori, scippatori, travestiti, pervertiti, belle di notte e di giorno”, la città che diventa scenario del delitto perfetto – siamo alla fine degli anni cinquanta, una manciata di mesi prima dell’uscita di Diabolik – commesso da un killer che si firma “Diabolich”, e poco dopo diventa la città della banda Cavallero che con le sue violente scorribande marchiò gli anni dal 1963 al 1967… E poi Milano, la città più ricca d’Italia, sfrontata, feroce, mondana e irriverente, un carosello di negozi di lusso, teatri d’avanguardia, night club, “la città dei mitra” – palcoscenico della spettacolare rapina dell’aprile 1964 in una gioielleria della centralissima via Montenapoleone, la Colombo, dalla banda dei marsigliesi – della speculazione immobiliare, della moda, delle minigonne, dei gioielli, delle voglie e della cupidigia. “La Domenica del Corriere” dell’aprile del 1965 dedica la copertina con la grande illustrazione di Walter Molino al personaggio di Diabolik che, calzamaglia nera e pugnale sguainato, balza nella camera da letto di una bellissima donna immersa nella lettura di fumetti proibiti: all’interno del popolare settimanale spicca il servizio di Guglielmo Zucconi su Ragazzini e signore-bene divorano i nuovi fumetti dell’orrido. E sul “Corriere della Sera”, siamo nel settembre 1966, Dino Buzzati pubblica un articolo sul caso della conturbante spogliarellista Rosa Draganovich, accoltellata in città, dal titolo Milano Diabolik?, dimostrando quanto l’inafferrabile ladro dagli occhi di ghiaccio sia entrato nell’immaginario collettivo. Sono anni in cui nasce il Gruppo 63, un movimento di avanguardia costituito da autori polemici contro le forme più diffuse di narrativa e poesia, da cui escono scrittori, studiosi e semiologi pronti a sancire la nobilitazione letteraria del fumetto. E, a proposito di narrativa di genere destinata a diventare letteratura, sono gli anni, tra il 1966 e il 1969, della serie di romanzi del “Duca Lamberti” di Giorgio Scerbanenco dai titoli inquietanti Venere privata , Traditori di tutti , I ragazzi del massacro, I milanesi ammazzano al sabato e dei racconti Milano Calibro 9. Sono gli anni in cui Oreste del Buono, uno dei primi ad apprezzare le avventure e il tratto originale di Diabolik, cura per Mondadori nella collana Omnibus, anno 1970, la fortunata antologia I Grandi ladri.
Figlio di Fantômas, Rocambole e Arsenio Lupin, padre di una sterminata serie di criminali moralmente efferati e mediaticamente a effetto, Diabolik ha attraversato sulla sua velocissima Jaguar la cronaca e il costume di sessant’anni di storia italiana. Diabolik - sottolinea Mario Gomboli - appare come un ladro di un’abilità e un’ingegnosità fuori dal comune, capace di assumere diverse fisionomie grazie a maschere di plastica sottilissima che lui stesso ha inventato. Ruba soprattutto gioielli o enormi cifre di denaro e non esita a uccidere chi intralcia i suoi piani. Nonostante svolga un’attività decisamente illegale e sia tutt’altro che un giustiziere, è dotato di principi etici (l’onore, la tutela dei più deboli, il senso dell’amicizia e della riconoscenza, il rispetto degli animi nobili), e pertanto disprezza mafiosi, narcotrafficanti, strozzini e aguzzini.
Sopravvissuto alle sue due madri - Angela è morta nel 1987, Luciana nel 2001 – uscito indenne da critiche e processi, salvatosi dai mutamenti epocali che hanno travolto il mondo del fumetto e dell’entertainment, passato con eleganza il giro del secolo, è diventato un fenomeno sociale, prosegue Mascheroni, sconfinando dal fumetto al cinema, al romanzo, le figurine, le canzoni, la pubblicità, i videogame… Ha resistito, con i suoi modi, a tutte le mode, ed è restato in piedi persino di fronte allo tsunami globale della Rete. Diabolik – con accanto la fedelissima, blondissima Eva – è ancora tra noi. Tira centomila copie al mese, terzo fumetto d’avventura più venduto in Italia dopo Tex e Dylan Dog. Ed è diventato più ancora che una icona. È una “figura”: un tempo della trasgressione, oggi della tradizione. Ci ha spaventato arrivando, ci rassicura rimanendo.

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