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Covid, è polemica sui debolmente positivi

Covid, è polemica sui debolmente positivi

Dibattito sulla contagiosità, esperti divisi

27 giugno 2020, 08:09

Elisa Buson

ANSACheck

Particelle di coronavirus viste al microscopio eletttronico (fonte: NIAID) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Particelle di coronavirus viste al microscopio eletttronico (fonte: NIAID) - RIPRODUZIONE RISERVATA
Particelle di coronavirus viste al microscopio eletttronico (fonte: NIAID) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Poco coronavirus, ma tante polemiche: i pazienti debolmente positivi al tampone continuano a incendiare il dibattito tra gli esperti, divisi tra ottimisti, attendisti e pessimisti.

Da un punto di vista tecnico, i tamponi debolmente positivi "sono quelli che presentano meno di 5.000 copie di Rna virale per millilitro: per avere un termine di paragone, nei tamponi di inizio epidemia si trovavano milioni di copie del virus", spiega il virologo Francesco Broccolo dell'Università di Milano-Bicocca.

I debolmente positivi sono solitamente soggetti asintomatici o clinicamente guariti da Covid-19, ma l'impennata che vediamo oggi "è probabilmente dovuta al fatto che ci sono sempre più persone che fanno il test sierologico e, presentando anticorpi per il coronavirus, vengono sottoposte al tampone, a cui risultano positive nel 10% dei casi circa".

A ridurre la carica virale riscontrata dai tamponi potrebbe aver contribuito anche il caldo estivo, così come l'uso delle mascherine, che hanno frenato l'emissione delle temute goccioline di saliva infette.

"Avere una bassa carica virale equivale ad avere una minore dose infettiva, dunque il rischio di contagio è più basso, ma non si può dire che sia pari a zero", sottolinea con prudenza Broccolo. "Per questo può essere utile scorporare i debolmente positivi dal conto dei positivi, purché vengano opportunamente segnalati nelle statistiche e non diventino dei fantasmi".

Il tema della contagiosità è anche al centro di uno studio del Policlinico San Matteo di Pavia, i cui risultati indicano come la maggior parte delle persone clinicamente guarite da Covid-19 (cioè senza più sintomi), ma ancora positive al tampone, abbiano una quantità di virus così bassa e degradata da non poter contagiare.

A ruota è arrivato anche un documento in cui dieci esperti (tra cui Giuseppe Remuzzi dell'Istituto Mario Negri e Alberto Zangrillo dell'ospedale S. Raffaele) si interrogano "sulla reale capacità di questi soggetti paucisintomatici e asintomatici di trasmettere l'infezione". Tra i firmatari c'è anche il microbiologo Roberto Rigoli dell'ospedale di Treviso, che alla luce dei risultati preliminari su 60.000 tamponi del Veneto è arrivato a dire che il virus si sta spegnendo.

Sulla base degli studi genetici "il virus non si è affatto rabbonito", afferma invece il virologo Massimo Galli, riconoscendo comunque che "i nuovi infetti sono molto più efficienti nel trasmettere le infezioni rispetto a quelli contagiati diverso tempo prima". Mentre sugli asintomatici non ha dubbi il microbiologo Andrea Crisanti dell'Università di Padova, che ha commentato: "quando mi vengono a dire che gli asintomatici non trasmettono l'infezione, mi cadono le braccia".

Nell'attesa che sulla questione si pronunci il Comitato Tecnico Scientifico, il sottosegretario alla Salute Sandra Zampa invita alla prudenza, raccomandando la quarantena anche per i debolmente positivi.

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