(di Luciano Fioramonti)
"E' stato un periodo molto
travagliato, ma penso che ora possiamo guardare avanti con
fiducia e non pensare più al Covid. Il teatro esce quasi
rinvigorito dalla pandemia. Penso che soprattutto l'opera
lirica, che è un rito collettivo in posti magnifici, riesca
sempre ad attrarre l'attenzione del pubblico a patto che noi
artisti riusciamo a creare spettacoli emozionanti e
coinvolgenti". In un'intervista all'ANSA Damiano Micheletto,
regista di successo in Italia e all'estero di produzioni
importanti, si dice ottimista sulle possibilità di ripresa
degli spettacoli dopo lo stop lungo e difficilissimo provocato
dall'emergenza sanitaria. Cosa ha significato lavorare durante
la pandemia? "Nel periodo in cui abbiamo fatto Rigoletto c' è
stata un'adrenalina collettiva anche molto divertente. Poi
quando ho affrontato tante altre produzioni ci sono stati molti
limiti, dalle mascherine al distanziamento, allo streaming, alle
opere senza il pubblico o lasciando il coro fuori scena". Il
regista veneziano, impegnato in questi giorni alla Fenice nell'
allestimento di una nuova opera di Giorgio Battistelli basata
sulle Baruffe chioggiotte di Goldoni, firma la regia di Luisa
Miller di Verdi in scena al Teatro dell'Opera di Roma dall' 8
febbraio con il maestro Michele Mariotti sul podio. "Il dramma
è l' anello di congiunzione tra le opere giovanili del
compositore - dice della ripresa dello spettacolo proposto a
Zurigo nel 2010 - e la sua produzione più matura in cui analizza
a fondo le psicologie dei personaggi e fa diventare quello il
suo lato più moderno. Mi sono concentrato sulla vicenda di due
padri e due figli, in una simmetria che viene rispecchiata dalla
scenografia, da una parte la ricchezza e dall' altra la povertà,
due mondi diversi che si assomigliano perché i due padri
rimarranno gli unici superstiti alla morte dei loro figli, nella
quale entrambi hanno una responsabilità". L' ambientazione
punta su una dimensione astratta che lavora sulla simmetria di
due luoghi diversi, di Luisa e Rodolfo, e a fare da perno la
figura di Wurm, incarnazione scespiriana di Jago. Nello spazio
astratto e simbolico i costumi portano i personaggi in una
condizione contemporanea".
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